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Gli attacchi ai magistrati di Milano
Redazione 22 dicembre 2002 22:36
22 dicembre 2001. Gli attacchi alla magistratura milanese non sono legittime critiche, ma un tentativo di delegittimare la magistratura nel suo complesso e di condizionarne l'azione da parte del governo

Il Coordinamento Nazionale dei Giuristi democratici esprime il profondo disagio
e malessere dei propri aderenti, a seguito delle recenti vicende che, a partire
dalle prese di posizione nei confronti della magistratura milanese
dell'ex-sottosegretario agli Interni, On. Carlo Taormina, in poi, hanno
condotto al delinearsi di una crisi istituzionale di rara gravità nella storia
repubblicana, crisi che vede - addirittura ed almeno in nuce - messo in
discussione il principio di divisione e di separazione tra i Poteri dello
Stato, che è alla base di qualsiasi sistema di moderna e compiuta democrazia.

Non si intende, naturalmente, mettere qui in discussione il diritto di
critica spettante ad ogni cittadino nei confronti dei provvedimenti
giurisdizionali che non si ritengano condivisibili (e ciò, tanto più, ove il
cittadino in questione esprima le proprie opinioni nel legittimo esercizio di
un mandato parlamentare), né il diritto dell'Esecutivo - nell'esercizio della
propria azione istituzionale di governo - di condurre la propria attività,
proponendo riforme legislative di contenuto profondamente incisivo
sull'attuale assetto del sistema giudiziario.

Nondimeno, ove le critiche suddette provengano addirittura da sedi
istituzionali, producendo l'ovvio effetto di delegittimare agli occhi
dell'opinione pubblica un altro Potere dello Stato, oppure ove l'azione di
Governo individui come obiettivo prioritario - da conseguirsi nel più breve
tempo possibile, anche facendo a meno di un previo e sereno dialogo con
l'opposizione parlamentare (non dovrebbe la Giustizia considerarsi materia c.d.
bipartisan?) - l'introduzione di riforme tali da alterare in maniera
considerevole l'equilibrio costituzionale tra i Poteri dello Stato, ciò non può
non destare allarme ed inquietudine. Si impone, di conseguenza, alla nostra
coscienza di giuristi il dovere di:

1) Esprimere la nostra ferma opposizione nei confronti di tali atteggiamenti,
il cui unico effetto é quello di impedire un sereno e civile dibattito sul
"Sistema-Giustizia", tra tutti i soggetti coinvolti;


2) Prendere le più ampie distanze, rispetto ad ogni tentativo - da qualsivoglia
sede esso provenga - inteso a delegittimare la magistratura ed a condizionarne
il sereno ed equilibrato esercizio delle funzioni istituzionali;


3) Riaffermare, con quanta più forza possibile, l'intangibilità e
l'intransigibilità di una serie di principii costituzionali, in tema di
ordinamento della giurisdizione ed, in particolare,


- IL PRINCIPIO DI INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA NEL SUO INSIEME (ART. 104,
CO. 1, COST.) e della sua non assoggettabilità - in nessuna delle proprie
funzioni - al controllo ed al condizionamento, da parte di altri Poteri dello
Stato;


- IL PRINCIPIO DI SOGGEZIONE DEL GIUDICE ALLA SOLA LEGGE (ART. 101, CO. 2,
COST.), con il conseguente corollario del diritto/dovere del giudice medesimo
di interpretare la Legge nella maggior serenità ed indipendenza di giudizio
possibili. Com'é ovvio, ciò non esclude il controllo sociale sulla
motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, né il diritto di critica - anche
aspra - nei confronti degli stessi, a condizione, però, che detta critica si
esplichi all'interno della sua sede fisiologica, vale a dire nell'ambito della
dialettica processuale, senza tentativi di delegittimazione "a monte" del
magistrato;


- IL PRINCIPIO DI OBBLIGATORIETÀ DELL'AZIONE PENALE (ART. 112 COST.), il quale
altro non costituisce, se non una specificazione del generalissimo ed
intangibile principio dell'eguaglianza del cittadino, davanti alla Legge (ART.
3, CO. 1, COST.);


- IL DIRITTO DEL MAGISTRATO - così come di ogni altro cittadino - ALLA LIBERA
MANIFESTAZIONE DEL PROPRIO PENSIERO (ART. 21, COST.), laddove specialmente il
magistrato medesimo parli come "osservatore qualificato", senza esprimere
giudizi od opinioni, in merito ad inchieste o processi in corso e dei quali
abbia ad occuparsi, ivi esercitando funzioni requirenti o giudicanti.