Appello
Il testo dell'appello redatto dal prof. Smuraglia e sottoscritto dai Giuristi Democratici il 15 gennaio 2002
Nella nostra qualità di avvocati sentiamo il dovere di prendere posizione sul
grave conflitto che si è aperto, e non accenna a comporsi, tra Governo e
Magistratura.
E' un conflitto che non riguarda soltanto il Governo, e la maggioranza
parlamentare che lo sostiene, da una parte, e i magistrati dall'altra. Riguarda
tutti i cittadini, perché al centro di esso stanno i principi della divisione
dei poteri e della autonomia e indipendenza della magistratura, e tali principi
sono scritti nella nostra Costituzione non a tutela della categoria dei
magistrati, ma a presidio della libertà e della eguaglianza dei cittadini.
Che questa sia la posta in gioco, è sotto gli occhi di tutti. L'aggressione
verbale violenta, da parte di esponenti del Governo e della maggioranza, nei
confronti di magistrati che assumono iniziative o pronunciano decisioni non
gradite costituisce interferenza indebita nell'esercizio delle funzioni
giurisdizionali e produce oggettivamente, attorno all'esercizio di tali
funzioni, un clima di intimidazione. L'affermazione, più volte ripetuta, e
contenuta addirittura nella mozione sulla giustizia approvata a maggioranza dal
Senato, secondo cui vi sarebbero giudici che "hanno tentato e tentano ancora
oggi di usare l'alto mandato a fini di lotta politica", si risolve, per la sua
genericità e la palese strumentalità ed infondatezza, in un evidente tentativo
di delegittimazione dell'intera magistratura. E tutto ciò avviene a fronte di
procedimenti penali, per reati comuni di notevole gravità, che riguardano il
Presidente del Consiglio ed altri autorevoli esponenti della maggioranza. Siamo
dunque in presenza di un attacco senza precedenti del potere politico nei
confronti del potere giudiziario, originato dalla volontà di chi esercita il
potere politico di sottrarsi al controllo di legalità cui è istituzionalmente
tenuto il potere giudiziario, e di sottrarvisi attentando alla credibilità
dell'ordine giudiziario, nel suo insieme e nelle persone di quei magistrati che
abbiano osato od osino perseguire reati - come è loro imposto dalla legge -
anche se in questi sia implicato qualcuno dei potenti di turno.
Che sia in gioco il principio della divisione dei poteri e della autonomia e
della indipendenza della magistratura risulta anche da alcuni propositi di
"riforma" enunciati dal Ministro della Giustizia e da esponenti della
maggioranza. La rivendicazione al potere politico (più volte ripetuta) del
compito di correggere e perseguire gli "errori" dei giudici, con la
prefigurazione di un controllo politico sull'esercizio della giurisdizione; la
proposta di sottrarre al Consiglio superiore della magistratura, organo di
autogoverno, la materia disciplinare, e gli altri interventi annunciati in
ordine al CSM, volti a ridimensionarne il ruolo e le funzioni; la proposta di
attribuire al Parlamento la determinazione di "criteri di priorità"
nell'esercizio della azione penale, con il chiaro aggiramento, se non la
soppressione, del principio della obbligatorietà della azione penale sancito
dalla Costituzione, e l'esplicita sottoposizione dell'esercizio della azione
penale alla volontà del potere politico; la proposta di separazione delle
carriere dei magistrati, sullo sfondo della quale si colloca, per dichiarazione
di alcuni autorevoli esponenti del Governo e della maggioranza, la
riorganizzazione in senso unitario e gerarchico dell'ufficio del pubblico
ministero e la messa in discussione della sua indipendenza, rispondono ad unico
orientamento, quello di abbandonare il principio della separazione (e della
reciproca autonomia) tra potere giudiziario e potere esecutivo e di sottoporre
il primo al controllo del secondo.
I valori in gioco appartengono a tutti e costituiscono patrimonio indefettibile
della nostra democrazia. I magistrati, dunque, non devono essere lasciati soli
nella loro difesa. Ed al loro fianco è giusto che siano in primo luogo gli
avvocati, sempre, per cultura e tradizione, particolarmente sensibili ai valori
della autonomia e della indipendenza della magistratura, così come a quelli
della autonomia e della indipendenza della loro professione. Gli avvocati sanno
che la giustizia, che costituisce il loro impegno quotidiano, non sarebbe più
degna di tale nome se si violasse il principio di uguaglianza tra i cittadini,
se pochi privilegiati potessero sottrarsi alla giurisdizione, se l'autonomia e
l'indipendenza della magistratura e dei singoli magistrati inquirenti e
giudicanti non fossero più garantite.
Alcuni recenti, sconcertanti episodi dimostrano che il pericolo è tutt'altro
che astratto e che sta crescendo il numero e l'entità dei valori posti in
discussione. In un processo nel quale è imputato il Presidente del Consiglio il
difensore di questi non ha esitato ad "avvertire" i giudici che si avvarrà
della sua veste di parlamentare per sollecitare l'intervento del Ministro della
Giustizia (su un processo in corso!). Nel medesimo processo, il Ministro della
Giustizia non ha esitato ad adottare un provvedimento amministrativo che, se
avesse l'effetto voluto, comporterebbe la modificazione del Collegio giudicante
ed il conseguente azzeramento del processo. In questi e in altri casi i giudici
hanno saputo far prevalere, contro ogni tentativo di intimidazione, il rigoroso
rispetto della legge e della Costituzione. Ma fino a quando ciò sarà possibile?
E l'indebita commistione tra esercizio della difesa e influenza politica non
rischia di produrre l'alterazione e l'appannamento della essenziale funzione
del difensore nel processo, da sempre affidata al primato della legge e alla
forza degli argomenti, mai alla protezione dei potenti?
Di fronte ad una situazione che diventa ogni giorno di più intollerabile per
tutti coloro che credono nella giustizia senza aggettivi, nella divisione dei
poteri, nella autonomia e indipendenza della magistratura, nel principio di
eguaglianza, e dunque, in sintesi, nello Stato di diritto e nella democrazia,
occorre, da parte di tutti, il massimo impegno. E questo impegno, per
contrastare la china pericolosa in cui siamo avviati, vogliamo manifestare come
cittadini ed anche, e soprattutto, come avvocati del libero Foro. Il punto di
riferimento essenziale è, come sempre, la Costituzione della Repubblica,
insostituibile fondamento della nostra convivenza democratica.