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Come modificare il d.d.l. sulle intercettazioni: breve promemoria per il legislatore
Redazione 7 giugno 2010 10:48
Intervento del prof Glauco Giostra, ordinario di procedura penale all'Università La Sapienza di Roma

Con apprezzabile senno politico si è tornati a riflettere sulla riforma delle intercettazioni che, se fosse approvata così come presentata all’Aula del Senato, susciterebbe più di una inquietudine. Su molte delle scelte che vi sono contenute, infatti, sarebbe opportuno tornare, su alcune sarebbe irresponsabile non farlo.
Tra le più perniciose è senz’altro la proposta concernente le nuove condizioni per poter disporre un’intercettazione ambientale, cioè la captazione di conversazioni tra presenti. Attualmente, può essere autorizzata quando sussistono i presupposti previsti in via generale per le intercettazioni telefoniche (gravi indizi di reato e indispensabilità per le indagini), salvo che non avvenga nel domicilio; in questo caso, è consentita soltanto se si ha fondato motivo di ritenere che vi si stia svolgendo l’attività criminosa. La riforma in esame al Senato intende estendere una tale condizione a tutte le intercettazioni ambientali, anche non “domiciliari”. Una scelta legislativa doppiamente discutibile: perché tratta in modo omogeneo situazioni marcatamente differenziate –essendo evidente che il domicilio presenti un’esigenza di maggiore tutela rispetto ad ogni altro luogo – e perché ripropone un presupposto – l’attualità della condotta criminosa, appunto – già oggi assolutamente incongruo. Pretendere una simile “attualità”, infatti, limita l’uso dell’intercettazione ai soli casi di reati permanenti (es. sequestro di persona) e con riferimento a situazioni – la conoscenza del luogo in cui si sta consumando il reato – nelle quali lo strumento elettivo di intervento non è certo l’intercettazione delle conversazioni, bensì, di regola, l’arresto in flagranza. La più plausibile delle soluzioni sembrerebbe quella di lasciare inalterato l’odierno regime delle intercettazioni ambientali e di richiedere, per le sole intercettazioni nel domicilio, l’ulteriore sussistenza di specifici elementi, in base ai quali si abbia ragione di ritenere che le conversazioni rilevanti per il processo possano essere captate soltanto in quel luogo. Si dovrebbe pretendere, cioè, una sorta di “doppia indispensabilità”: che risulti indispensabile, tra i diversi mezzi di indagine, far ricorso alla intercettazione di comunicazioni; che risulti indispensabile, tra le diverse tipologie di intercettazione, far ricorso a quella “domiciliare”.
Non meno preoccupante sembra essere la proposta di fissare un termine di durata massima delle intercettazioni (75 giorni). Negli ultimi tempi se ne è parlato soprattutto con riguardo alla possibilità di applicarle tale termine anche alle intercettazioni in corso, facendolo decorrere dall’entrata in vigore della legge. Scelta discutibilissima che tradisce il principio di affidamento processuale, secondo cui ciascuna parte del processo deve essere messa nella condizione di elaborare la propria strategia sulla base di regole stabili. Ma il problema più grave non è la norma transitoria, bensì quella a regime. Prevedere una dead line temporale uguale per tutti i reati (salvo quelli di criminalità mafiosa) ed escludere ogni possibilità di proseguire l’intercettazione – perfino quando si sappia che, solo a poter oltrepassare quella scadenza temporale magari di qualche giorno, sarebbe possibile drenare verso il processo notizie risolutive – appare scelta politicamente suicida. Certo, il rischio di operazioni intercettative prolungate indefinitamente, con grave pregiudizio per la riservatezza delle persone e con rilevante dispendio di risorse, non può essere ignorato. Una soluzione in grado di contemperare queste due opposte esigenze potrebbe essere quella di fissare comunque un termine finale per le proroghe ordinarie e di introdurre presupposti ancor più stringenti per poter eccezionalmente derogarvi (ad es., elementi specifici da cui si evince che la prosecuzione dell’ascolto apporterà risultati che nel periodo ordinario non è stato possibile conseguire). Si potrebbe inoltre rinunciare alla proposta – che ha suscitato serie preoccupazioni con riguardo alla sua concreta praticabilità – di prevedere la competenza del giudice collegiale per ogni provvedimento in materia di intercettazione, riservando invece la collegialità alla decisione di autorizzarne la prosecuzione al di là del termine ordinario massimo di durata. Ciò consentirebbe di conseguire un prezioso, triplice risultato: garantire sostenibilità organizzativa e tempestività di intervento nella fase di autorizzazione e di proroga ordinaria dell’intercettazione; assicurare una maggiore e più distaccata ponderazione rispetto ad una scelta delicatissima, quale quella di protrarre eccezionalmente l’intercettazione oltre i termini fisiologici; dissuadere l’organo monocratico dal concedere con disinvoltura autorizzazioni e proroghe, giacché l’eventuale intervento dell’organo collegiale finirebbe per esercitare una sorta di indiretto controllo sul suo operato.
Sul fronte dei limiti alla divulgabilità degli atti del procedimento, doverosi ripensamenti hanno indotto a ridimensionare sensibilmente il black out che si voleva imporre alla cronaca giudiziaria; resta tuttavia, costituzionalmente indifendibile, il divieto di pubblicare le intercettazioni sino all’udienza preliminare. Beninteso, deve essere sempre vietato e severamente punito diffondere i contenuti delle intercettazioni che risultino processualmente insignificanti. Ma una volta effettuata la cernita tra le notizie riguardanti soltanto la vita privata delle persone e quelle rilevanti per il processo, non vi è ragione per vietare che queste siano diffuse. Una scelta diversa non sarebbe soltanto politicamente inopportuna, ma anche costituzionalmente illegittima. La Consulta, infatti, ha reiteratamente statuito che il diritto di informare e di essere informati può subire limitazioni soltanto quando sia necessario tutelare interessi di rango costituzionale, e nessuno di questi può essere invocato a giustificazione del divieto di pubblicazione delle intercettazioni rilevanti e non più segrete.

Glauco Giostra
Ordinario di procedura penale – Università degli studi “La Sapienza”