MANAGE
CERCA
I diritti civili per i detenuti: l'impegno dei garanti - Desi Bruno
Redazione 14 febbraio 2013 10:47
Desi Bruno – relazione al convegno “Lo stato e le prospettive dei diritti civili: il ruolo propulsivo degli enti locali” – Milano 19.01.2013

L’istituzione della figura dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale a livello comunale, provinciale e regionale, rappresenta la novità degli ultimi anni in materia penitenziaria.
Come è noto la positività dell’esperienza ha ottenuto pieno riconoscimento con la modifica dell’articolo 67 dell’Ordinamento penitenziario (l.354/75), per effetto della legge 27 febbraio 2009, n.14 (conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2008, n.207), che prevede anche il Garante, con riferimento al territorio di cui l’ente che l’ha istituito è espressione, fra quei soggetti che, laddove istituiti, possono visitare gli istituti penitenziari senza necessità di preventiva autorizzazione, alla stregua dei membri del Parlamento.
Per effetto della stessa legge è intervenuta anche la modifica dell’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario, che ora è venuto a normare la prassi dei colloqui da parte del Garante con le persone detenute anche al fine di compiere atti giuridici.
In una circolare dell’01/02/2010, il Dap, in ordine ai colloqui ex articolo 18 O.p., ha chiarito che, qualora i collaboratori del Garante si avvalgano delle modalità di accesso agli istituti penitenziari di cui agli articoli 17 e 78 O.p., fruiranno delle stesse prerogative riconosciute al Garante, purchè la loro collaborazione sia di natura stabile ed organica e non meramente occasionale.
Il mandato istituzionale attiene alla promozione e all’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile, all’attività di vigilanza sulle condizioni di vita degli istituti penitenziari nonché alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sui temi del rispetto dei diritti umani e della umanizzazione della pena.
Prerogativa importante del Garante è la dimensione di mediazione finalizzata alla prevenzione dei conflitti all’interno dei luoghi di detenzione in quanto la presenza di una figura con compiti anche di controllo e vigilanza costituisce “a priori“ una forma di protezione e tutela.
Inoltre il Garante svolge un ruolo importante di raccordo tra il “dentro“ e il ”fuori”, stimolando i territori a farsi carico della popolazione detenuta e a riconoscere alla stessa pieno diritto di cittadinanza, mantenendo contatti con il volontariato e con gli enti locali.
Prima del succitato riconoscimento legislativo, che ha inserito la figura del Garante nell’Ordinamento penitenziario, il Garante entrava in carcere sulla base del disposto dell’art. 17 O.p., su autorizzazione del Magistrato di Sorveglianza, alla stregua di un volontario, o ai sensi dell’articolo 78 O.p., modalità che non consentiva un effettivo riconoscimento del ruolo e comprimeva l’autonomia e indipendenza della figura.
Nel tempo i rapporti con l’Amministrazione penitenziaria si sono consolidati, con il dialogo ed il confronto con le Direzioni degli istituti di pena, e con gli operatori penitenziari, e oggi si caratterizzano per la loro stabilità.
Attualmente sono presenti sul territorio 23 garanti comunali (Firenze; San Severo; Sassari; Verona; Brescia; Nuoro; Livorno: Bergamo; Sondrio; Piacenza; Pisa; Torino; Reggio Calabria; Rovigo; Pescara; Ferrara; Bolzano; Vicenza; Pistoia; Udine; Roma; Bologna; Milano), 4 garanti provinciali (Trento; Lodi; Trapani; Massa Carrara) e 9 garanti regionali (Lombardia; Campania; Lazio; Puglia; Marche; Toscana; Valle d’Aosta; Sicilia; Emilia-Romagna).
Sarebbe altresì opportuno che gli enti locali riuscissero a trovare una omogeneità di disciplina che agevoli il compito dei Garanti, nonchè indicando la necessaria previsione della figura negli statuti degli enti. Marcate le differenze in ordine alla nomina dei Garanti, in quanto quelli regionali (istituiti attraverso legge regionale) sono nominati taluni dal Presidente della Regione, talaltri dall’Assemblea regionale, mentre per provinciali e comunali procedono alla nomina per delibera consiliare o, in numerosi casi, per nomina sindacale.
La presenza dei Garanti in carcere serve a monitorare le condizioni dei luoghi di detenzione (ivi compreso il carcere minorile; il CIE - Centro di Identificazione ed Espulsione degli immigrati irregolari -; gli OPG; i luoghi dove si attuano i trattamenti sanitari obbligatori; le camere di sicurezza; i reparti detentivi, laddove predisposti, negli ospedali civili), sia per incontrare le singole persone detenute che, in caso di ritenuta violazione di un diritto o per sollecitare interventi su questioni specifiche, possono richiedere espressamente di sostenere un colloquio con il Garante.
Importante è il ruolo di promozione che l’ufficio del Garante svolge per creare opportunità di lavoro dentro e fuori il carcere, per migliorare le condizioni igienico-sanitarie, per incrementare le opportunità culturali e di incontro con la società esterna.
Anche la Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione e la promozione dei diritti umani (XVI legislatura), nel rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia, si è espressa nei termini di un positivo riconoscimento dell’esperienza dei garanti dei diritti dei detenuti in materia penitenziaria.

Alcune realtà regionali (Marche, Lombardia e Valle d’Aosta) hanno scelto di assegnare per mandato istituzionale la funzione di Garante dei diritti dei detenuti ai Difensori Civici, scelta rispetto alla quale è fermo il convincimento dei Garanti che, data la specificità del tema della garanzia dei diritti dei detenuti, non si possa prescindere da un organo di tipo settoriale, istituito ad hoc.
I Garanti preso atto che la realtà carceraria si caratterizza in termini di assoluta emergenza e fuori da ogni parametro di compatibilità con la Costituzione, ritengono prioritario perseguire l’obiettivo dell’istituzione di un Garante nazionale dei diritti dei detenuti che possa contribuire a dare attuazione al dettato costituzionale della finalità rieducativa della pena e a rendere sempre più trasparenti gli istituti penitenziari del nostro Paese.
Tra i tratti salienti dell’organismo di vigilanza e monitoraggio, il potere di accedere in maniera incondizionata ai luoghi di privazione della libertà personale, i requisiti della collegialità e dell’indipendenza, con una designazione di tipo parlamentare.
Nel delicato rapporto fra il nostro sistema di esecuzione della pena e la garanzia dei diritti fondamentali delle persone che si trovano in luoghi di privazione della libertà personale, in un momento storico che sottolinea la particolare complessità e drammaticità della realtà carceraria, pare non più differibile da parte dell’Italia l’esecuzione della risoluzione ONU 48/134 del 1993, per l’istituzione di una figura nazionale di garanzia e controllo sui luoghi di privazione della libertà personale, rispetto alla quale diversi sono i progetti di legge depositati, anche nella scorsa legislatura.
Va inoltre ricordato che il Protocollo facoltativo del 2002 alla Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984, sottoscritto, ma purtroppo non ratificato dall’Italia, prevede che entro un anno dalla ratifica il paese firmatario debba dotarsi di un organismo indipendente di controllo e ispezione sui luoghi di detenzione, ai sensi del comma 2 dell’articolo 4 del Protocollo per privazione della libertà s’intende sia qualsiasi forma di detenzione o d’incarcerazione, sia il collocamento di una persona in uno stabilimento di sorveglianza pubblico o privato dal quale essa non è autorizzata a uscire liberamente, ordinato da un’autorità giudiziaria o amministrativa o da qualsiasi altra autorità pubblica.
All’articolo 1 il Protocollo si prefigge di istituire un sistema di visite periodiche, effettuate da organismi indipendenti internazionali e nazionali, nei luoghi in cui si trovano persone private della libertà, allo scopo di prevenire la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
L’articolo 3 prevede che ogni Stato Parte istituisca, designi o gestisca, a livello nazionale, uno o più organi di visita incaricati di prevenire la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
L’istituzione di un Garante nazionale, oltre all’assolvimento di obblighi di carattere internazionale, sarebbe il naturale coronamento del percorso intrapreso in via di sperimentazione a livello territoriale con i Garanti locali.
L’istituzione del Garante nazionale significherebbe anche, per il futuro, il superamento della già verificatasi attribuzione di competenze in materia penitenziaria ai difensori civici degli enti territoriali, essendo evidente che la materia carceraria ha una specificità che richiede competenze altrettanto puntuali, a meno che non si vogliano figure di Garanti non capaci di esercitare davvero controllo e svolgere ruolo di promozione e denuncia.
Si tratta di una scelta politica ben precisa, e non a caso nel protocollo addizionale della Convenzione contro la Tortura è richiesta una competenza settoriale per le figure di garanzia.
Nel corso degli anni sono state presentate varie proposte di legge, tanto nella precedente legislatura (ddl n.626/2006 d’iniziativa del deputato Mazzoni; ddl n.1090/2006 d’iniziativa dei deputati Mascia, Forgione ed altri; ddl n.1441/2006 d’iniziativa dei deputati Boato, Mellano; ddl n.2018/2006 d’iniziativa del deputato De Zulueta) quanto nell’attuale legislatura (ddl n.1755/2008 d’iniziativa del deputato Torrisi; ddl n.2275/2009 d’iniziativa della deputata Luisa Bossa e altri; ddl n.2702/2009 d’iniziativa della deputata Bernardini; ddl n.4004/2011 d’iniziativa del deputato Paolo Corsini e altri; ddl n.343/2008 d’iniziativa dei senatori Fleres, Ferrara e Piscitelli; ddl n. 1347/2009 d’iniziativa dei senatori Di Giovan, Marcenaro, Casson ed altri; ddl n.1424/2009 d’iniziativa della senatrice Maria Fortuna Incostante; ddl n.1617/2009 d’iniziativa della senatrice Barbara Contini; ddl n. 1849/2009 d’iniziativa del senatore Marco Perduca e altri; ddl n.2364/2010 d’iniziativa del senatore Mauro Maria Marino e altri) ed anche i Garanti territoriali, riuniti in Coordinamento, hanno predisposto un proprio testo nell’ambito del quale, fra i tratti salienti dell’organismo di vigilanza e monitoraggio munito del potere di accedere in maniera incondizionata ai luoghi di privazione della libertà personale, emergono i requisiti della collegialità e dell’indipendenza, essendo prevista una designazione di tipo parlamentare, con la previsione di un continuo raccordo con i Garanti territoriali presenti nelle realtà locali.
I Garanti hanno chiesto con forza al Parlamento di considerare una priorità l’introduzione di un organo di garanzia e di controllo a tutela delle persone ristrette con una competenza territoriale su scala nazionale, che costituirebbe un primo importante segnale di una volontà politica e di governo finalmente attenta al rispetto della dignità e dei diritti inviolabili delle persone.
Da ultimo però va sottolineato che è stato finalmente ratificato il protocollo opzionale alla Convenzione delle nazioni Unite con legge 9 novembre 2012 n. 195 e pertanto anche l’Italia è obbligata a nominare entro un anno dalla ratifica un organismo nazionale di garanzia.
I Garanti, nella loro attività, esprimono preoccupazione per i numeri costanti di sovraffollamento (i dati periodici sulle presenze che fornisce il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati al 31 dicembre 2012, parlano di 65.701 presenze a fronte di una capienza regolamentare di 47.040), numeri ancora più drammatici stante la difficoltà da parte di chi governa a trovare soluzioni utili che possano avere un effetto deflattivo, anche permanendo su scala nazionale una riduzione significativa dell’accesso alle misure alternative e un uso massiccio della custodia cautelare in carcere.
Il dato nazionale è eloquente, tutte le carceri del Paese sono al limite della resistenza a causa del sovraffollamento, con un aumento della tensione nei luoghi di privazione della libertà personale, e con tutto il corollario che ne può derivare in termini di violenza, disperazione, violazione della dignità della persone.
Il disumano e sempre più colpevole sovraffollamento rende arduo il lavoro delle professionalità che ruotano attorno al carcere. E se la situazione ancora non esplode è solo grazie al grande senso di responsabilità dei detenuti e allo spirito di servizio e l’abnegazione degli operatori penitenziari.
La soluzione passa attraverso una puntuale applicazione, per le persone condannate in via definitiva, della legge Gozzini del 1986, in larga parte ancora applicabile nonostante i continui interventi normativi che tendono a ridurne l’ambito di operatività, ricordando che le misure alternative concorrono ad abbattere i numeri della recidiva. Si tratta, innanzitutto, di una importante sfida culturale che il nostro Paese, prima o poi, non potrà esimersi dall’affrontare se davvero si vuole contribuire a creare sicurezza reale per la società tutta. Al di là della soggettiva percezione di insicurezza che può provare il singolo cittadino dinanzi all’ipotesi di un condannato che sconta la pena in misura alternativa, i numeri sono inequivocabili: la percentuale di abbattimento della recidiva in questi casi è straordinaria, producendosi per questa via la responsabilizzazione del soggetto il che significa sicurezza per la società. Così come un diverso uso della misura cautelare carceraria, coerente con la normativa vigente, impedirebbe a migliaia e migliaia di persone di entrare in carcere per pochi giorni, con oneri immensi per lo stesso e inutile impatto con la privazione della libertà personale e i drammi che ne conseguono.
La riforma del codice penale, la riscrittura delle leggi sulle droghe, sull’immigrazione, la cessazione del legiferare in via di emergenza, inasprendo le pene e aumentando le figure di reato, l’abrogazione della cd. ex Cirielli, per quanto riguarda la disciplina della recidiva, inciderebbero in maniera sensibile sul numero delle carcerazioni.
Solo interventi di riforma che siano strutturali rispetto al tema della pena potranno garantire un approccio tendente alla soluzione della questione, con una risposta punitiva nella forma della carcerazione che dovrebbe riguardare solo quei casi in cui vengono lesi beni di primaria importanza, con una riforma del codice penale tendente al superamento della centralità della pena detentiva, prevedendo una diversa tipologia di sanzioni, tra cui l’utilizzo dei lavori socialmente utili, o che comunque prevedano condotte riparative e restitutorie nei confronti dei singoli e della collettività.
Le morti di persone detenute rappresentano ormai la quotidianità e l’impotenza colpevole di un sistema alla rovina: i Garanti denunciano con forza la paralisi che sembra colpire chi ha responsabilità di governo, politiche e giudiziarie, incapaci tutti di cominciare, intanto ad usare gli strumenti già esistenti per invertire la rotta, preoccupati di non incrinare una concezione della sicurezza sociale che alimenta paura e separatezza, e che produce solo sofferenza e disagio.
I Garanti hanno predisposto nel tempo il testo di un reclamo da presentare al Magistrato di Sorveglianza, per richiedere l’adozione di misure necessarie per conformare le condizioni di detenzione al rispetto degli standard minimi di vivibilità, che vuole essere utile strumento anche ai fini della percorribilità del ricorso alla Corte Europea*, e che sollecita la Magistratura di Sorveglianza ad assumere il tema delle lesione dei diritti dei detenuti, come previsto dall’art. 69 O.p., nonché ad applicare con determinazione laddove possibile le misure alternative al carcere.

Al fine di coordinare le attività dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti, nell’anno 2008, è stata istituita, da parte dei Garanti della Regione Sicilia, della Regione Lazio, della Regione Campania e, successivamente, della Regione Marche, del Laboratorio Privacy presso il Garante della tutela dei dati personali, la Conferenza Nazionale dei Garanti regionali istituiti per legge. Si tratta di un organismo che consente di pianificare iniziative di rilievo nazionale per meglio affrontare le problematiche connesse alla tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, all’esecuzione della pena, al loro reinserimento sociale. La Conferenza, a turno, è presieduta da un Garante regionale, mentre l’organizzazione è affidata alla figura del segretario generale.
L'esigenza di migliorare le condizioni di detenzione, le forme di controllo della legalità nei luoghi di prevenzione della libertà personale e i meccanismi di tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute troverebbe nell'istituzione del Garante nazionale per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, munito della necessaria autonomia ed indipendenza, un efficace e indispensabile strumento. La legge nazionale dovrebbe inoltre stabilire criteri omogenei relativi alle competenze delle diverse istituzioni di Garanti a cui hanno dato vita negli anni gli enti locali**.


Note:
*Si ricorda che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza dell’8 gennaio 2013, ha condannato l’Italia al versamento di circa 100.000 euro, a titolo di risarcimento del danno morale, a favore 7 detenuti ristretti in condizioni di sovraffollamento negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza, deducendo la violazione dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che sancisce che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti. La Corte, tra l’altro anche nella sua pregressa giurisprudenza, ha sancito il principio secondo il quale quando il sovraffollamento carcerario raggiunge un particolare livello di gravità, con riferimento alla mancanza di spazio nell’istituto penitenziario, allora si configura un trattamento inumano e degradante. Nello specifico si è accolto il ricorso di 7 detenuti che denunciavano di aver occupato celle di 9 metri quadrati con altri due detenuti, disponendo quindi ogni singola persona di 3 metri quadrati, grave mancanza di spazio in taluni casi ulteriormente aggravata da mancanza di acqua calda per lunghi periodi ed illuminazione e ventilazione insufficienti.
La Corte ha rilevato, inoltre, il carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario in Italia ed il cronico malfunzionamento del sistema penitenziario, con diverse centinaia di ricorsi, con numeri in continuo aumento, proposti contro l’Italia al fine di sollevare il problema della compatibilità con l’articolo 3 della Convenzione delle inadeguate condizioni detentive legate al sovraffollamento carcerario in diversi istituti penitenziari.
Avvalendosi dello strumento della sentenza pilota, la Corte ha inoltre dichiarato il rinvio dell’esame dei ricorsi aventi come unico oggetto il sovraffollamento carcerario per il periodo di 1 anno a decorrere dalla data in cui la sentenza in questione (Causa Torreggiani e altri c. Italia) è divenuta definitiva. In questo periodo di tempo l’Italia, nell’adempimento dell’obbligo giuridico derivante dalla sentenza, dovrà adottare le misure necessarie per ridurre il numero delle persone incarcerate, attraverso una maggiore applicazione di misure punitive non privative della libertà personale ed una riduzione del ricorso alla custodia cautelare in carcere, e istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi e idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario.

**Dal sito del Dap (http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_3_6_2.wp): "Il garante è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Istituito per la prima volta in Svezia nel 1809 con il compito principale di sorvegliare l’applicazione delle leggi e dei regolamenti da parte dei giudici e degli ufficiali, nella seconda metà dell’Ottocento si è trasformato in un organo di controllo della pubblica amministrazione e di difesa del cittadino contro ogni abuso. Oggi questa figura, con diverse denominazioni, funzioni e procedure di nomina, è presente in 22 paesi dell'Unione europea e nella Confederazione Elvetica.
In Italia non è ancora stata istituita la figura di un garante nazionale per i diritti dei detenuti, ma esistono garanti regionali, provinciali e comunali le funzioni dei quali sono definite dai relativi atti istitutivi. I garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Il loro operato si differenzia pertanto nettamente, per natura e funzione, da quello degli organi di ispezione amministrativa interna e della stessa magistratura di sorveglianza.
I garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, secondo quanto disposto dagli artt. 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario (novellati dalla legge n. 14/2009).”