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Il processo di Atlanta ai cinque cubani
Redazione 6 settembre 2007 11:48
Una delegazione dei Giuristi Democratici ha partecipato al processo d'appello che si è tenuto ad Atlanta per i cinque cubani condannati all'ergastolo con l'accusa di spionaggio.
Tecla Faranda, che ha partecipato all'udienza, riassume i termini della questione e ci da un resoconto del processo.

Si è tenuta ad Atlanta, Georgia l’udienza di discussione orale nel processo di appello contro la sentenza del Tribunale di Miami, Florida che ha inflitto a cinque cittadini cubani (dei quali uno ha anche la cittadinanza statunitense), arrestati a Miami quasi dieci anni fa,condanne per tre ergastoli complessivamente, oltre ad alcuni decenni di reclusione che stanno scontando in regime di isolamento nella prigione di massima sicurezza di Victorville.
Riassumendo la ormai decennale e complicata vicenda giudiziaria, i cinque, che si erano infiltrati in ambienti anticastristi a Miami allo scopo di sventare eventuali atti terroristici contro Cuba, sono stati condannati per associazione per delinquere (conspiracy) diretta allo spionaggio e altri reati minori connessi (uso di documenti falsificati, false dichiarazioni, etc.) a seguito di un processo fortemente condizionato da un ambiente sfavorevole agli imputati, in quanto cubani, e privo di riscontri probatori.
In particolare la tesi dell’accusa è stata quella di considerare l’esistenza di un accordo tra i cinque finalizzato allo spionaggio e dunque alla rivelazione di notizie dannose per l’interesse dello Stato.
E’ sempre stato invece evidente dagli stessi atti processuali che i cinque semplicemente raccoglievano notizie, peraltro possibile oggetto di pubblicazione persino sui quotidiani e delle quali la segretezza non è mai stata comunque provata in giudizio, da utilizzarsi al fine di contrastare iniziative di gruppi anticastristi localizzati, come è dato di pubblico dominio, prevalentemente a Miami.
L’accordo tra i cinque (conspiracy) riguardava dunque la raccolta in loco di informazioni utili alla difesa del territorio cubano e non in conflitto con l’interesse nazionale statunitense, a meno che non si consideri, ovviamente, che difendere Cuba da crimini di privati coincida con una lesione della sicurezza nazionale USA.
Se la giuria, condotta da una pubblica accusa che ha violato ripetutamente la deontologia e l’etica professionale, ha mostrato di pensarla in questo modo, il processo di primo grado è rimasto privo di riscontri probatori sulla natura segreta delle notizie raccolte e sulla conseguente commissione del reato di spionaggio, mentre le attività connesse alla copertura dei cinque sono state sempre ammesse ma ricondotte dalla difesa ad un’esimente rappresentata da un concetto simile al nostro “stato di necessità”.
La sentenza di primo grado era stata ribaltata in un primo tempo in appello dalla Corte di Atlanta 11° distretto (competente per la Florida), un collegio togato (composto da due dei tre giudici attuali) senza giuria.
Successivamente però la prima sentenza era stata di nuovo confermata (a maggioranza e con dissenting opinions di alcuni dei giudici) in un successivo grado di giudizio della stessa Corte in sezione plenaria e il processo di appello è arrivato ora, dopo quasi cinque anni dal suo inizio, alla discussione finale, che si è tenuta in forma orale ad Atlanta il 20 agosto scorso e all’esito della quale si attende la sentenza in tempi prevedibili con esattezza, ma probabilmente da misurarsi in alcuni mesi.
Attualmente l’oggetto dell’appello riguarda non più la lesione dei diritti degli imputati, bensì una valutazione delle prove che hanno costituito il fondamento della sentenza di condanna.
Nel frattempo nulla si è modificato circa il regime di carcere duro inflitto ai condannati e, persino nell’imminenza dell’udienza. è stato negato al fratello di uno dei condannati la programmata visita in carcere a causa di una presunta – e francamente, al di là di tutto, già poco credibile in sé - contaminazione da stupefacenti della sua persona e del suo passaporto.
Né, d’altra parte, è stato consentito agli imputati di presenziare all’udienza, come sarebbe invece doveroso in qualsiasi processo in qualsiasi Stato di diritto del mondo il cui sistema giudiziario stia decidendo sulla vita, come in questo caso, di un cittadino.
Ciò che si è invece inaspettatamente modificato negli ultimissimi tempi – ed ha invece una fondamentale importanza - è l’atteggiamento dei media su una vicenda rimasta praticamente del tutto sconosciuta all’opinione pubblica statunitense fino ad ora.
Se, infatti, come si ricorderà, la storia dei cinque nel 2004 aveva dovuto essere portata sul New York Times con un’inserzione a pagamento per poter sfondare il muro di omertà ed indifferenza alla notizia negli USA e nel mondo, il 5 agosto scorso lo stesso autorevole quotidiano ha pubblicato un articolo del giornalista dell’Havana Mc Kinley che ha di fatto ricalcato il contenuto del precedente annuncio ed ha ristabilito la verità dei fatti rispetto ad una campagna di non-informazione, più che di effettiva contro-informazione, giornalistica precedente.
All’udienza era inoltre presente una certa rappresentanza di testate giornalistiche locali e di agenzie di stampa, accompagnate dal rituale disegnatore, e la notizia del processo è stata poi pubblicata, in modo ineccepibile anche se neutro, sulla stampa locale.
Infine, le principali reti televisive nazionali, CNN e CBS, hanno entrambi messo in onda dopo l’udienza, seppure in seconda serata, un’intervista ad uno degli avvocati storici dei cinque, Leonard Weinglass, mentre Gerardo Hernandez era stato intervistato nel mese di luglio scorso sull’argomento anche dalla BBC Radio.
La diffusione, anche se tardiva, della notizia da parte dei media, nonché la veramente ampia partecipazione dei comitati e delle associazioni per la tutela dei cinque cubani (oltre duecento in tutto il mondo), che hanno inviato oltre una settantina di delegati a dimostrare la solidarietà di tutto il mondo in questa vicenda, di alcuni rappresentanti di ordini forensi stranieri, nonché di alcuni parlamentari, avvocati e magistrati statunitensi sono elementi indubbiamente fondamentali sotto il profilo della sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
In ogni caso, lo svolgimento dell’udienza orale, come confermato anche da uno degli avvocati americani del collegio di difesa Leonard Weinglass e da altri legali presenti, ha dimostrato l’interesse dei tre giudici, che hanno posto parecchie domande sia alla difesa sia all’accusa, a condurre una migliore e approfondita valutazione delle prove e dell’operato del Tribunale di Miami.
Dopo che altri giudici si sono già pronunciati per la legittimità della condanna e, soprattutto, dopo quasi un decennio di carcere duro inflitto agli imputati la riforma, totale o parziale, della sentenza da parte di questi giudici richiede certamente del coraggio e d’altra parte il clima emotivo che ha seguito l’11 settembre non si è di molto attenuato dai tempi del primo processo, che ne è stato indubbiamente influenzato.
Peraltro, almeno apparentemente, l’atteggiamento dei tre giudici che stanno esaminando il caso (dei quali due si erano già pronunziati in favore dell’illegittimità della condanna ed un terzo invece è stato aggiunto in seguito e non si era mai occupato del caso in precedenza) è sembrato serio e tecnico e questo elemento, considerato che stiamo parlando di un processo gestito fino a questo momento in modo irrazionale, emotivo, antigiuridico e senza prove e quindi in aperta violazione delle regole di diritto, è indubbiamente della massima importanza.
L’udienza orale, che non è sempre concessa in questo tipo di processo e alla quale sono stati ammessi tutti gli aspiranti che hanno fatto richiesta di partecipare senza particolari formalità, ha dato relativo spazio ai difensori delle parti e tutti i membri della Corte hanno rivolto numerose e mirate richieste di approfondimento e di chiarimenti ai difensori ed alla rappresentante della pubblica accusa, soprattutto in ordine alla valutazione delle prove, che sono sicuramente il punto più debole dell’accusa, perché, come si è detto, le prove dei presunti e peraltro fumosi reati semplicemente non esistono.
E infatti la rappresentante della pubblica accusa ha avuto serie e del tutto percepibili difficoltà a condurre la discussione, così e come richiestole dai giudici, sulle prove a fondamento delle accuse, limitandosi peraltro a richiamare un solo documento sulla base del quale il governo cubano avrebbe preavvertito uno dei cinque della possibilità che potessero essere abbattuti, come poi avvenuto effettivamente, aerei provenienti da Miami che avessero violato lo spazio aereo cubano; documento che fonderebbe una responsabilità inesistente e mai in precedenza affermata – e questo nel sistema di common law è un elemento fondamentale - di un singolo privato cittadino per un atto, peraltro legittimo se violazione dello spazio aereo vi sia stata , del suo governo.
La rappresentante dell’accusa ha dovuto infine palesemente ammettere che le imputazioni non sono fondate su prove in senso tecnico, ma su semplici indizi (hints), ma non ha ritenuto di precisare né su quali precedenti decisioni fondasse tale assunto, né dove portassero tale indizi, dichiarando di aver avuto “insormontabili” difficoltà nell’acquisizione delle prove.
Questa imbarazzante ammissione, che determina automaticamente l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio secondo regole universalmente condivise negli Stati di diritto, non potrebbe che portare automaticamente, come ben sappiamo, ad un’unica e ovvia conclusione .
La difesa ha invece puntato la discussione su alcuni soltanto dei numerosissimi capi di impugnazione della sentenza nell’ottica di una strategia processuale, pienamente condivisibile, di concentrazione dell’attenzione dei giudici sugli elementi fondamentali del processo, anche in considerazione del limitato tempo a disposizione (circa un’ora, di fatto estesa di un’ulteriore ventina di minuti).
In particolare i difensori hanno evidenziato come nessuna prova sia in atti delle contestate attività di spionaggio, né che la presunta conspiracy, reato assimilabile all’ associazione per delinquere, prevedesse la commissione di reati e di quali reati e che, in ogni caso, nessuno è mai stato in precedenza condannato all’ergastolo per reati che non prevedessero il coinvolgimento in fatti di sangue ovvero il ricorso alle armi, come è invece avvenuto in questo caso.
Preliminare evidenza è stata inoltre data al comportamento emotivo del rappresentante della pubblica accusa nel processo di primo grado che si è abbandonato ad opinioni e valutazioni personali ed emotive (“Oh my God, they are spies!…“- Oh mio Dio ,si tratta di spie!) invece di attenersi a fatti e prove dei fatti, comportamento valutato come estremamente grave ed inammissibile secondo le regole processuali e deontologiche statunitensi.
Non dimentichiamo infatti che il rappresentante della pubblica accusa negli Stati Uniti ha un obbligo deontologico, sanzionato anche con provvedimenti disciplinari espulsivi, non solo di attenersi ai fatti, ma anche di cercare le prove favorevoli all’imputato e di non nasconderle.
Non vogliamo illuderci inutilmente in una vicenda in cui comunque l’aspetto politico ed emotivo ha di fatto sempre prevalso sull’applicazione delle regole.
E’ certo, tuttavia, che lo svolgimento complesso dei giudizi e la inusuale estensione delle motivazioni della prima sentenza di appello (quasi un centinaio di pagine) dimostra che il sistema giudiziario statunitense fa un’estrema fatica a digerire la sentenza pronunziata ed ad oggi abbondantemente già eseguita con quasi dieci anni di carcere duro già scontati dai cinque.
E’ anche certo che rimediare ad un’ingiustizia di questa portata e con queste conseguenze sulla vita di cinque persone richiede molta coscienza, fermezza e coraggio da parte di questi giudici.
Ma vogliamo essere fiduciosi ed ottimisti, con l’avvocato Weinglass, che l’onestà intellettuale e la preparazione giuridica dei giudici dell’appello (che, al contrario della giuria popolare di Miami, sono giuristi di livello superiore, ben conoscono le regole ed hanno palesemente ritenuto di approfondire molti aspetti processuali completamente ignorati dalla giuria di Miami) finiranno per prevalere su questioni emotive e politiche, che nessuna influenza devono avere in un processo.
Se conosciamo bene le motivazioni precise e perverse che stanno alla base di questo colossale errore giudiziario, confidiamo, tuttavia, che i giudici di Atlanta non si faranno strumentalizzare da fattori estranei all’amministrazione della giustizia, con il rischio di creare un pericoloso precedente per tutti, cittadini statunitensi compresi.
Non dimentichiamo che esiste ancora Guantanamo, ma confidiamo che i giudici di Atlanta facciano semplicemente il loro lavoro, perché l’applicazione delle regole, anche se non restituirà mai loro questi lunghi anni di ingiustificate privazioni, basterà a far tornare a casa René, Fernando,Gerardo,Ramon e Antonio.

Tecla Faranda

Ulteriori notizie sul caso si possono leggere in questa sezione nel documento "Cuba e i 5 cubani in carcere negli U.S.A."