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Green Pass, la discriminazione è un'altra cosa
Redazione 9 agosto 2021 16:20
Comunicato stampa

Nelle scorse settimane, taluni studiosi e commentatori hanno insistito nel definire discriminatorie le misure relative al c.d. Green Pass. Ossia quelle misure che permettono solo a chi ha completato il ciclo vaccinale, di frequentare determinati luoghi pubblici o aperti al pubblico.

In particolare, Agamben e Cacciari hanno segnalato un "pericolo democratico" e una pratica discriminatoria tesa a costituire una categoria di cittadini di "serie B". 

Come Giuristi Democratici, riteniamo sia necessaria una puntualizzazione.

Si tende a presentare, negli ultimi mesi, ogni differenziazione di trattamento normativo come discriminazione. Sarebbe dunque discriminato il non vaccinato, che viene trattato in modo diverso dal vaccinato. Va, però, chiarito che in realtà, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale (a partire dalla sentenza n. 3/1957) «la legge deve regolare in maniera uguale situazioni uguali e in maniera razionalmente diversa situazioni diverse». Dunque, a fronte di condizioni e situazioni diverse, il trattamento giuridico sarà conforme al principio di eguaglianza, fissato dall'articolo 3 della Costituzione, solo quando «risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone» (così Corte cost., n. 163/1993). 

Non è quindi illegittimo differenziare i trattamenti; è illegittimo trattare in modo diverso chi si trova in identica situazione.

Così, ad esempio, se si fissa un ordine di ingresso dei feriti al pronto soccorso, chi è grave deve superare chi ha una spina nel dito. Se, invece, si pensa di trattare allo stesso modo le due condizioni (gravità e non gravità della ferita) si opera una discriminazione che colpisce in concreto il soggetto che ha maggiore bisogno. L’apparente equità del trattamento (tutti i feriti in fila in ordine di arrivo), nasconde il mancato corretto trattamento del maggiore bisogno, e si rivela iniquo. Non è quindi discriminatorio che le case popolari vengano assegnate ai non abbienti. Sarebbe invece lesivo del principio di cui si discute non operare una ragionevole differenziazione di trattamento (ad esempio assegnarle a caso alla popolazione).

Nel caso del green pass, è pacifico che chi si vaccina corra meno rischi. L'Istituto Superiore di Sanità riferisce che «la vaccinazione anti-COVID-19, se si effettua il ciclo vaccinale completo, protegge all’88% dall’infezione, al 94% dal ricovero in ospedale, al 97% dal ricovero in terapia intensiva» (iss.it, 20 luglio 2021).

Il soggetto non vaccinato —peraltro per propria scelta— corre oggettivamente un rischio maggiore. Ed è ben vero che anche chi è vaccinato può, sia pure in misura inferiore, farsi portatore del virus; ma, proprio per questo, occorre ridurre il rischio collettivo di eventi fatali.

È dunque pienamente legittimo che, in relazione ad attività ludiche o ricreative, o in relazione ad attività che possono costituire un focolaio di nuovi casi, si possa prevedere di mantenere le restrizioni (già giudicate legittime) solo per chi è ancora in una condizione di rischio, mentre tali restrizioni divengono immotivate per coloro che hanno un esiguo rischio di eventi fatali.

In altri termini, il tema va rovesciato. Non viene creata una categoria di cittadine e cittadini di serie A, a fronte di una di B. Si delibera solo di ridurre le restrizioni per persone che sono ormai fuori dal (massimo) pericolo. Sono tali persone che, avendo effettuato il vaccino, hanno il diritto di richiedere un trattamento commisurato alla dose di rischio che corrono.

Come afferma giustamente Massimo Villone su "Il manifesto" del 29 luglio u.s., è pienamente legittimo il Green Pass «come condizione per svolgere determinate attività, accedere a certi luoghi, usufruire di servizi pubblici. Ognuno rimarrebbe libero di non vaccinarsi, essendogli però preclusa l'occasione di contagiare altri. Il che è consentito anche dalle specifiche norme costituzionali su libertà e diritti: circolazione, riunione, istruzione, iniziativa economica privata».

Sarebbe insomma discriminatorio, per chi affronta il fastidio del vaccino, che continuasse a essere trattato come prima.

Il tutto è ancor più legittimo, in quanto quella di non vaccinarsi è una libera scelta. Il non vaccinato sceglie la sua condizione —che peraltro comporta obiettivamente un danno alla società, in quanto favorisce potenzialmente il proliferare del virus e la nascita di nuove varianti. Dunque il non vaccinato può recedere in ogni momento, se intende giovarsi dei benefici del minore grado di rischio.

Quanto al tema democratico, si può aggiungere che democrazia significa anche tutela del bene collettivo e dei soggetti più deboli (e dunque di chi davvero non può vaccinarsi). Un Parlamento che cedesse alle pulsioni individualistiche ed egoistiche, non sarebbe certo più democratico. 

 

9 agosto 2021

ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI