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Sulla modifica degli artt. 4 bis e 41 bis della legge n. 354/75
Redazione 9 marzo 2003 17:37

PRESO ATTO

dell'intervenuta modifica legislativa (L. 23 dicembre 2002 n. 279) degli articoli 4 bis e 41 bis della legge n. 354/'75 , in tema di trattamento penitenziario;

TENUTO CONTO

della pluralità delle posizioni espresse in merito alla necessità e legittimità costituzionale (art. 13 e 27 Cost.) di misure incidenti sulle regole di ordinario svolgimento della vita carceraria , previste dalle vigente normativa, in via definitiva, come parte integrante del sistema penitenziario, e all'allargamento dei titoli di reato per cui è precluso accesso alle misure alternative se non in presenza della collaborazione (art. 58 ter O.P.)

TENUTO CONTO

che diversità di posizione si sono manifestate non solo, e peraltro in modo trasversale, tra le forze politiche e associative che si sono occupate del tema del carcere, ma anche all'interno dei Giuristi democratici;dopo un approfondito dibattito

ESPRIME

contrarietà all'allargamento dei titoli di reato ostativi all'accesso alle misure alternative anche ai delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale, oltre alle ipotesi già previste di associazione di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, sequestro di persona con scopo di estorsione nonché associazione finalizzata al contrabbando di prodotti lavorati esteri art. 4bis); infatti, l'estensione ai reati di terrorismo, indotta dai fatti dell '11 settembre, crea preoccupazione anche e proprio in ragione della formulazione dell' attuale art. 270 bis c.p., che appare non sufficientemente determinata con riferimento alla nozione di terrorismo e, dunque, tale da farvi ricomprendere anche le situazioni di opposizione sociale e politica; critica nei confronti del mantenimento della necessità di comportamenti collaborativi per accedere alle misure alternative; anche se è vero che la Corte Costituzionale ha introdotto una serie di correttivi in materia (come nei casi in cui la collaborazione sarebbe inutile perché i fatti sono già accertati o l'associazione non è più esistente) e che la norma stessa prevede ulteriori situazioni che consentono di superare il divieto (minima partecipazione e risarcimento del danno)

AUSPICA

una riforma dei presupposti per l'accesso alle misure alternative che prescinda in toto dal titolo del reato per cui è intervenuta condanna e dalla pretesa di comportamenti di collaborazione, ritenendo sufficiente ed idonea la verifica del percorso risocializzante compiuto dal detenuto e la mancanza di elementi che facciano ritenere comprovati contatti con la criminalità organizzata; questi risultano gli unici presupposti a cui può essere subordinato l'accesso a misure alternative al carcere finalizzate al reinserimento sociale: ogni discriminazione fondata sul titolo del reato e sulla richiesta di atteggiamenti collaborativi appare in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.

INDIVIDUA

con riferimento al solo reato di associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis c.p. l'ambito di possibile applicazione di limitazione dell'ordinario regime di vita carceraria (41 bis), e nei limiti rigorosamente determinati dalla funzione di prevenire contatti tra gli associati mafiosi e l'esterno e in particolare l'associazione ancora operante; ciò in ragione della assoluta peculiarità della associazione mafiosa, che la differenzia da ogni altra condotta illecita, anche se in forma organizzata, in ragione della capacità degli associati di controllare il territorio, infiltrarsi nelle istituzioni e corromperle, alterare gli equilibri socio-economici, ridurre la capacità e libertà di autodeterminazione delle collettività residenti nelle zone interessate, nonché per la dimostrata idoneità ad espandersi, ferma restando la assoluta consapevolezza della parzialità dell'intervento repressivo rispetto ad un fenomeno che deve trovare ben più forti strumenti in altra sede. In nessun caso le limitazioni all'ordinario regime carcerario possono avere scopo diverso da quello di tipo preventivo, e meno che mai costituire strumento di aggressione alla integrità psico-fisica del detenuto per ottenere confessioni o collaborazioni, di talchè ogni applicazione pratica delle limitazioni previste dall'art. 41 bis, peraltro oggi codificate, volte esclusivamente a fiaccare la resistenza del detenuto e a rendere ingiustificatamente più duro, ma non per questo più sicuro, il carcere, deve essere considerata illegittima. A maggior ragione ciò risulta grave se applicato nei confronti di categorie, quali gli oppositori sociali e politici che, per la ricordata indeterminatezza dell'art. 270 bis c.p., possono trovarsi a subire le suddette restrizioni, senza alcuna effettiva ragione di sicurezza.

RILEVA

la necessità di un rigoroso controllo sulle ragioni, comunque di assoluta rilevanza, che possono giustificare l'adozione del suddetto strumento, ed in questo senso non può che proporsi la necessità di prevedere la perentorietà del termine previsto per la decisione in seguito a reclamo in sede giurisdizionale (art. 41 co. 2 sexies) , al fine di non vanificare la ratio del reclamo e la possibilità, in concreto, di evitare proroghe ingiustificate al trattamento differenziato

RITIENE

che vada, altresì, contrastata ogni limitazione all'ordinario regime di vita carcerario derivante da prassi amministrative o da circolari amministrative (vedi la circolare del DAP in tema di Elevato Indice di Vigilanza Custodiale) applicate a singoli detenuti o ad intere aree carcerarie, con restrizioni addirittura superiori e più gravi di quelle previste dall'art. 41 bis, senza possibilità di verifica dei presupposti e senza rimedio giurisdizionale

AUSPICA

che il sistema penitenziario possa orientarsi verso forme di differenziazione del trattamento, come, peraltro, previsto dall'ordinamento penitenziario (artt. 13 e 14 L.354/75), nel senso di cogliere le peculiarità delle diverse tipologie di autori di reato, riconoscendone la specificità

PROMUOVE

un dibattito con tutte le realtà interessate sui temi individuati.

Roma 26 gennaio 2003

Il Coordinamento Nazionale Giuristi Democratici