MANAGE
CERCA
La riforma della professione di avvocato
Redazione 16 gennaio 2007 18:43
Pubblichiamo alcuni contributi alla discussione sul cosiddetto Progetto Mastella di riforma delle professioni.
I contributi provengono dal gruppo di lavoro dell'associazione dei Giuristi Democratici di Torino.

ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI DI TORINO
GRUPPO DI STUDIO SULLA RIFORMA DELLE PROFESSIONI

Subito dopo l'emanazione del cd "decreto Bersani" si è aperto nell'ambito della nostra associazione (anche se mi riferisco alla sede torinese, immagino che lo stesso sia accaduto in numerose altre sedi) un ampio dibattito non soltanto sulle questioni specifiche che furono oggetto del citato provvedimento (pubblicità, tariffe professionali, patto di quota lite), ma più in generale sul futuro della professione di avvocato e sulle riforme, ormai incombenti, che la riguardano.
Per evitare di essere sorpresi, come al solito, dagli avvenimenti e per cercare di fornire il nostro costruttivo contributo di critica e (soprattutto) di elaborazione, il direttivo dell'Associazione Giuristi Democratici di Torino ha deciso di costituire un gruppo di studio sull'argomento, al quale hanno partecipato una decina di colleghi, fornendo un contributo alla discussione nelle riunioni periodiche tenutesi presso la Fondazione dell'Avvocatura Torinese ed inviando anche sull'argomento elaborati scritti (che troverete tutti allegati).
Il direttivo dell'associazione ha pure ritenuto indispensabile fornire a tutti gli iscritti un riassunto sullo stato del dibattito e sui principali problemi affrontati che, in qualità di coordinatore del gruppo di studio, spero di potervi fornire in queste pagine.
Mentre stavamo esaminando nel dettaglio i vari progetti di legge depositati in parlamento (Mastella, Vietti, Siliquini, Mantini), che in parte o in gran parte riprendevano i progetti già presentati nella precedente legislatura, è stato anche depositato in Parlamento il progetto"Calvi" (che riguarda però la sola riforma dell'ordine e della professione di avvocato) ed è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge delega sulle professioni intellettuali, che riprende con modificazioni il cd."progetto Mastella"; l'incalzare degli avvenimenti attesta l'assoluta esigenza di un contributo dell'associazione (non dell'associazione impersonalmente, ma di tutti voi che leggete) che, se non sarà rapido ed incisivo, si rivelerà del tutto inutile.
Una prima critica al disegno di legge Mastella consiste nello strumento legislativo adottato (delega al governo) che, com'è inevitabile per ogni delega ed in particolare per quella (a larghissime maglie) di cui si discute, riguardante numerose professioni intellettuali anche diversissime, potrà sfociare in possibili soluzioni legislative anche alternative tra di loro e dall'esito imprevedibile (sul punto vedasi anche la posizione dell'OUA sulla rivista Guida al Diritto "Ddl Mastella una cambiale in bianco che apre a liberalizzazioni selvagge" numero 48/06 pagine 6 e 7 ).
Tale critica non è condivisa da tutti i partecipanti al gruppo di studio, sulla base di due considerazioni: 1) trattandosi di un disegno di legge generale, riguardante tutte le professioni intellettuali, era inevitabile la delega al governo per consentire ad un più ristretto gruppo di esperti la stesura di una disciplina specifica e dettagliata; 2) la concertazione con tutte le categorie interessate si era tradotta, nella precedente legislatura, in un esercizio sfibrante e senza sbocchi, come ha osservato il precedente sottosegretario alla giustizia on. Vietti.
Personalmente, senza con ciò impegnare i partecipanti al gruppo di studio, ritengo che tale modo di operare si inneschi ormai nel solco di un generale spossessamento del parlamento dai suoi compiti che, con l'abuso dei decreti legge e delle deleghe da parte dei governi di ogni colore, ha certamente origini lontane ma nondimeno dev'esser fermamente combattuto in un'ottica democratica di elaborazione delle leggi.
Sicuramente il dovere del governo è quello di ascoltare le parti sociali, ma è anche quello poi di decidere nell'interesse del paese, rapidamente: le parti sociali, tuttavia, debbono potersi pronunciare su progetti chiari e di assai precisa stesura, non su deleghe dai contorni inevitabilmente incerti.
Tali considerazioni risultano ormai accademiche alla luce dell'ormai avvenuta approvazione della proposta di legge delega da parte del Consiglio dei Ministri e tuttavia vi è anche chi, nell'ambito del gruppo di studio, propone di insistere fermamente per scorporare dalla legge delega che dovrà essere approvata dal parlamento tutta la riforma degli ordini e della professione di avvocato, ritenuti peculiari (per l'importanza, soprattutto dal punto di vista del cittadino utente, del servizio prestato, anche costituzionalmente rilevante ai sensi dell'art. 24 Cost.) rispetto a quelli delle altre professioni (quella medica, pur essendo costituzionalmente riconosciuta, presenta caratteristiche differenti dalla nostra).
In via di estrema sintesi (la sintesi del provvedimento è sicuramente rischiosa e vi chiedo la pazienza di andarvi a rileggere il testo integrale) il disegno di legge delega "Mastella"
prevede di "individuare, sulla base degli interessi pubblici meritevoli di tutela,,le professioni intellettuali da disciplinare attraverso il ricorso ad ordini, albi o collegi professionali, in modo tale che non possa derivarne un aumento rispetto a quelli già previsti dalla legislazione vigente (art.2 comma d).
Ed ancora prevede che "conformemente ai principi di proporzionalità e salvaguardia della concorrenza....la possibilità di limitate e specifiche ipotesi di predeterminazione numerica, nei soli casi in cui le attività professionali siano caratterizzate dall'esercizio di funzioni pubbliche o dalla esigenza di uno specifico interesse generale, per una migliore tutela della domanda di utenza ,alla limitazione del numero di professionisti che possano esercitare, anche senza vincoli territoriali (art.2 comma f)" ed inoltre che "la professione possa essere esercitata in forma individuale o associata o in forma societaria .....ed in relazione ai casi di rapporto di lavoro subordinato, le ipotesi in cui l'iscrizione ad ordini, albi o collegi sia obbligatoria o sia compatibile con le stesse, con riferimento alle sole attività riservate (art.2 comma h).
All'art.2 comma i) dispone che si debba "assicurare...il risarcimento del danno ingiusto che dall'attività del professionista siano eventualmente derivate" al comma m) che si debbano "prevedere i casi di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile" al comma n) che il legislatore delegato sia tenuto ad "introdurre l'obbligo per il professionista di rendere noti al cliente nell'assumere l'incarico, gli estremi della polizza ed il relativo massimale".
All'art.2 comma i) consente "la pubblicità a carattere informativo, improntata a trasparenza e veridicità, relativamente ai titoli e alle specializzazioni professionali, alle caratteristiche del servizio professionale offerto, ai costi complessivi delle prestazioni".
Per quanto riguarda le tariffe, il disegno di legge prevede che "il corrispettivo della prestazione sia consensualmente determinato tra le parti, anche pattuendo compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti ,garantire il diritto del cliente alla preventiva conoscenza del corrispettivo ovvero, se ciò non sia possibile, all'indicazione di una somma individuata nel minimo e nel massimo; prevedere, a tutela del cliente, la individuazione generale di limiti massimi dei corrispettivi per ciascuna prestazione."
Parrebbe dunque che venga mantenuta dal cd disegno "Mastella" la legittimità del patto di quota lite (anche se forse l'ambiguo termine "parametrati" potrebbe assumere il duplice significato di "corrispondente a", ma anche comportare un limite massimo alla quota che l'avvocato potrebbe pattuire con il cliente; in proposito si tenga conto che il Consiglio Nazionale Forense, nella seduta del 16 dicembre 2006, ha già modificato il precedente art. 45 del codice deontologico -"divieto di patto di quota lite"- nei termini che seguono: "Articolo 45 Accordi sulla definizione del compenso E' consentito all'avvocato pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell'articolo 1261c.c. e sempre che i compensi siano proporzionati all'attività svolta.").
Occorre segnalare che, nella menzionata seduta del 16 dicembre 2006, il CNF ha anche modificato gli articoli 10 (dovere di indipendenza), 17 (informazioni sull'attività professionale), 17 bis (modalità dell'informazione; entrambi questi due ultimi articoli riguardano dunque la pubblicità consentita), 19 (divieto di accaparramento di clientela, adeguandolo alle nuove norme in materia di pubblicità consentita), 35 (rapporto di fiducia), 43 (richiesta di pagamento), 45 (accordi sulla definizione del compenso, modificato nei termini appena integralmente riportati).
Il disegno di legge mantiene altresì l'abolizione dei minimi tariffari, già disposta dal cd decreto Bersani, mentre sembra prevedere la reintroduzione dei massimi tariffari.
Su quest'ultimo punto si vedano le ampie considerazioni e critiche di Remo Danovi nell'articolo "Professioni: tre direttrici fondamentali per valutare il progetto del Governo" su Guida al Diritto n. 48 del 16 dicembre 2006 pag.126 ed ancora "Un aumento della concorrenza potrebbe penalizzare il cliente" di Marina Castellaneta n.48 citato pag.122, "Via libera al sistema delle tariffe forensi anche se ostacola la libertà di prestazione-Corte di Giustizia delle Comunità Europee-Grande Sezione-Sentenza 5 dicembre 2006" su Guida al Diritto n.48 pag.122; infine le considerazioni sulla citata sentenza della Corte di Giustizia Cee del Presidente del CNF Guido Alpa "Tariffe forensi: dalla Corte di Giustizia un invito a rivedere la disciplina esistente" su Guida al Diritto n.49/06 pag.100.
E' opportuno ancora ricordare che, sulla base dell'accenno, contenuto all'art.2 comma m) del ddl Mastella, "ai corrispettivi per ciascuna prestazione", vi è chi ritiene che ciò stabilisca l'implicito obbligo, per il futuro legislatore, al mantenimento di un tariffario correlato a singole voci e specifiche prestazioni attualmente enumerate come "diritti ed onorari di avvocato", con conseguente difficoltà per il cliente di districarsi nell'interpretazione della parcella finale, con la possibilità che la sommatoria delle singole voci comporti un conto assai salato e comunque non conoscibile in anticipo da parte del cliente.
Secondo alcuni l'ordinamento tedesco risulterebbe in proposito più garantista poiché prevederebbe (uso il condizionale, essendo le mie informazioni in merito tutt'altro che approfondite) un compenso dell'avvocato correlato alla complessiva prestazione (ad es. un compenso complessivo per una causa di separazione coniugi o di divorzio ecc.), da versarsi in tre rate successive (all'inizio della causa, a metà ed al termine della stessa). Sul punto vedasi il saggio di Daniela Marchesi "Litiganti, avvocati e magistrati" Edizioni Il Mulino.
Un capitolo a parte meriterebbe (e bisognerà pur scriverlo) l'esercizio della professione in forma societaria. Mi limito, per il momento, a constatare di non aver reperito nel ddl Mastella spunti che consentano con sicurezza di scongiurare l'ipotesi che una compagnia assicuratrice, per fare un esempio, conferisca in una società, anche soltanto come socio minoritario, il proprio contenzioso giudiziario e gli altri soci avvocati svolgano la relativa attività professionale.
Se ciò verrà mai consentito, sarà la fine della libera (e decorosamente retribuita) avvocatura.
Richiamo infine la vostra attenzione sui punti nodali e decisivi del nostro futuro professionale, sui quali si sono accentrate le discussioni all'interno del gruppo di studio: l'accesso alla professione, la pratica e l'aggiornamento professionale.
In proposito il ddl prevede che il legislatore delegato dovrà "disciplinare il tirocinio professionale di durata non superiore a dodici mesi ( e ciò lascia spazio a numerose critiche, nota mia).....sotto la responsabilità di un professionista iscritto da almeno quattro anni.....riconoscere un equo compenso (da parte del dominus a favore del praticante, nota mia)...prevedere..forme alternative o integrative del tirocinio a carattere pratico ovvero mediante corsi di formazione promossi o organizzati dai rispettivi ordini professionali o da università o da pubbliche istituzioni purché strutturati in modo teorico-pratico.....prevedere, per il tirocinio professionale, specifiche attività formative organizzate dalle università, con la possibilità di effettuare parzialmente il tirocinio contemporaneamente all'ultima fase degli studi (e ciò, se si tien conto che il tirocinio può esser limitato ad un anno, completa il quadro).. ...mantenere l'esame di stato...assicurare l'uniforme valutazione dei candidati su base nazionale...limitando a meno della metà la presenza di membri effettivi e supplenti appartenenti agli ordini professionali o da questi designati........attribuire agli ordini la costante verifica della qualificazione e dell'aggiornamento professionale........la verifica del rispetto degli obblighi di aggiornamento da parte dei professionisti iscritti e degli obblighi di informazione degli utenti...agevolare, anche mediante l'istituzione di borse di studio (all'art.1 comma 4 si precisa però che dalla applicazione della presente legge e dai decreti delegati non possono scaturire nuovi e maggiori oneri per il bilancio dello stato) l'ingresso nella professione di giovani meritevoli...comprendere fra tali compiti la collocazione presso studi professionali di giovani non in grado di individuare il professionista per il praticantato......disciplinare la composizione degli ordini...garantire la tutela delle minoranze...la durata temporanea delle cariche e la limitata rinnovabilità così da non superare il limite massimo di dieci anni......istituire sezioni degli ordini, albi e collegi distinti a seconda del titolo di studio posseduto, (a proposito di quest'ultima disposizione occorre osservare che essa può preludere all'istituzione di albi distinti -ad es. di civilisti e penalisti- nell'ambito della medesima professione; vedi anche art.4 comma 1).
Ed ancora il ddl prevede che "il potere disciplinare sugli iscritti sia esercitato da organi nazionali e territoriali distinti dagli organi di gestione.......composti non soltanto da professionisti iscritti nel relativo albo (quindi anche professori universitari e magistrati potranno far parte delle commissioni disciplinari).....soltanto alcuni dei componenti delle commissioni disciplinari (potranno appartenere) allo stesso ordine territoriale cui è iscritto l'indagato (in altri termini la commissione disciplinare che indagherà e giudicherà su un avvocato iscritto per es. all'Albo Avvocati di Torino potrà essere composta in parte da avvocati del Foro di Novara o Vercelli e viceversa ). Per i casi di inerzia nell'esercizio del potere disciplinare è previsto l'esercizio sostitutivo da parte del Ministro competente alla vigilanza o di un suo delegato o del pubblico ministero, se no titolare dell'azione disciplinare (art.7 comma 1 e).
Un ultimo importante cenno riguarda le Associazioni professionali riconosciute (art.8). Il ddl intende "garantire la libertà di costituire associazioni di natura privatistica e senza fini di lucro, tra professionisti che svolgano attività professionale omogenea, con il limite che, nel caso di attività riservate, possono farne parte solo gli iscritti al relativo ordine, albo o collegio"
L'accenno è importante poiché le associazioni che assolvono i requisiti di cui all'art.8 comma 1c (ampia diffusione sul territorio, svolgimento di attività che possono incidere su diritti costituzionalmente garantiti) possono essere iscritte in un apposito registro e tenere - con il controllo da parte degli ordini ex art.4 comma 1 d - validi corsi per l'aggiornamento professionale degli iscritti.
Detti corsi di aggiornamento potranno essere tenuti - sempre con il controllo da parte dell'ordine - anche da società private (ad es. Ipsoa ed altre), ovviamente a pagamento.
Nell'ambito del gruppo di studio si è acceso un ampio dibattito (come del resto tra gli iscritti all'Associazione e tra tutti gli avvocati italiani), sull'ormai enorme numero degli iscritti agli ordini avvocati, nonché sul costante ed incontrollato aumento di tale numero.
Qualcuno ha accennato anche all'ipotesi, alla parola proibita del "numero chiuso", che significherebbe consentire l'accesso alla professione tramite concorso anziché attraverso l'esame di stato, comunque tutti hanno concordato sulla necessità di porre un deciso argine all'aumento degli iscritti, sottolineando che tale misura non è ispirata da ragioni di difesa corporativa, ma al contrario da esigenze di tutela del cittadino-utente che sicuramente non verrebbero salvaguardate da un - inevitabile, in assenza di correttivi - peggioramento della qualità del servizio offerto.
Oltre ad altri rimedi facili da suggerire e difficili da attuare (maggior aderenza alle questioni professionali e pratiche, a discapito dell'impostazione ancora in parte nozionistico-universitaria dell'esame attuale, uniforme valutazione dei candidati nelle diverse sedi di esame, maggior severità nella valutazione dei candidati - vi è chi ha sottolineato come attualmente si giudichi insufficiente un tema al quarto errore di ortografia e come in alcune sedi, a giudicare dalle statistiche, neppure tale filtro viene adottato), sarà probabilmente indispensabile il ricorso alla preselezione informatica per l'accesso all'esame di avvocato, sull'esempio di quanto già accade per l'accesso al concorso in magistratura.
La pratica professionale costituisce un altro scottante problema (in futuro dovrà essere espletata presso un avvocato con almeno quattro anni di iscrizione, ma ciò ovviamente non basta ed alcuni propongono anche l'obbligatorietà della frequenza ai corsi di formazione), così come dovremo pronunciarci sul coordinamento degli ordini con le università per l'istituzione e preparazione dei corsi di studio, dei corsi post-universitari, delle scuole di formazione ecc.. Sicuramente dovremo batterci contro la riduzione del tirocinio a soli dodici mesi, periodo assolutamente insufficiente, a mio giudizio, per l'apprendimento anche soltanto degli elementi basilari necessari allo svolgimento della professione di avvocato.
L'attuale numero degli iscritti e l'incontrollato aumento prima accennato comporterà quasi insolubili problemi riguardanti il dovuto controllo, da parte degli ordini, sull'aggiornamento professionale degli iscritti.
Come ha sottolineato un partecipante al gruppo di studio, un semplice calcolo relativo al numero di docenti necessari, alla differenziazione delle materie e dei corsi, alla disponibilità di aule, alle ore di frequenza ecc., evidenziano la materiale impossibilità per gli ordini di sovrintendere direttamente ai corsi di aggiornamento, che necessariamente dovranno in tutto o in parte essere delegati alle associazioni sopra citate od a società private.
Alcuni ritengono che compito degli ordini sia precipuamente quello di garantire agli iscritti ( e verificare che gli iscritti si avvalgano dei relativi servizi forniti) gli aggiornamenti di base riguardanti le future novità sostanziali o procedurali.
In pratica è prevedibile che vi sarà un massiccio ricorso al rilascio ed all'esibizione di attestati e ciò comporterà quanto meno l'obbligo del professionista alla presenza ai corsi, essendo auspicabile che gli ordini siano almeno in grado di effettuare verifiche in merito al rilascio di attestazioni false o compiacenti. Su questo delicatissimo problema il dibattito è ovviamente aperto e diverse e più ottimistiche proposte saranno ben accette.
Per quanto riguarda l'attività di consulenza legale stragiudiziale, vi è chi ritiene debba essere riservata alla nostra categoria e si debba consentirne a notai e commercialisti soltanto l'esercizio occasionale e non continuativo. Altri ritengono che sia impossibile controbattere una prassi ormai consolidata, soprattutto nei piccoli centri, di effettuazione dell'attività di consulenza stragiudiziale non soltanto da parte dei menzionati professionisti, ma anche da parte di altre categorie (geometri, ragionieri).
Su quest'ultimo e su altri argomenti (in particolare sulle peculiarità della professione di avvocato e sulle conseguenze che dovrebbero derivarne nell'ambito della riforma delle professioni) vi rimando alla lettura dell'allegato contributo di Paolo Berti.
Sul complesso dei problemi affrontati, importanti contributi possono ricavarsi dal "memorandum" di Mario Napoli (pure allegato) contenente capitoli sulla legge delega, sul mercato e la qualità del servizio, sui limiti alla concorrenza e i valori dell'avvocatura, sul consumatore cliente e l'asimmetria informativa, sul livello della prestazione, sull'accesso alla professione e numero degli iscritti (su quest'ultimo punto il memorandum contiene esaustive e dettagliate proposte). Un successivo "memorandum" di Mario Napoli esamina specificamente il dibattuto problema della consulenza professionale, con riflessioni finali sulla pratica professionale (secondo l'autore, un rigoroso controllo ispettivo da parte degli Ordini circa la bontà ed effettività della pratica, dovrebbe accentrarsi sul dominus anziché sul praticante) e sull'informazione pubblicitaria (secondo il collega, la pubblicità deve essere lecita solo su richiesta dell'utente).
Vi raccomando infine la lettura del saggio di Nino Raffone che contiene interessanti considerazioni sulla pubblicità (che egli propone di ancorare - oltre che ai criteri già stabiliti dal ddl Mastella -ad ulteriori criteri obbiettivi quali ad es. l'obbligo di menzionare l'anzianità di iscrizione, il reddito professionale dichiarato, con la possibile adozione pure di altri criteri che tuttavia comportino la comunicazione al pubblico di elementi oggettivi, verificabili e controllabili anche da parte degli utenti e dei colleghi del professionista) e tratta anche delle attività di consulenza stragiudiziale, in ordine alle quali non sussisterebbe alcuna riserva costituzionale a favore degli avvocati; con riguardo infine al patto di quota lite l'autore esprime la sua contrarietà all'introduzione dell'istituto e tuttavia, tenuto conto che esso è ampiamente praticato, egli indica gli auspicabili correttivi da introdurre nella sua disciplina.
Infine Mariagrazia Pellerino ritiene la specializzazione un elemento ineludibile al quale ancorare la pubblicità; poiché ci si avvia ad un giusto percorso di formazione continua, non sarebbe corretto tralasciare la specializzazione; d'altro canto l'aggiornamento professionale obbligatorio è immaginabile e gestibile soltanto nell'ambito della specializzazione professionale. Comunque, secondo la collega, chi tiene all'interdisciplinarietà potrà continuare a coltivarla, nulla vieta di possedere più specializzazioni.
IL COORDINATORE DEL GRUPPO DI STUDIO
Ennio Lenti

Contributo di Mario Napoli
1. Consulenza. Profili Generali Il problema della consulenza legale stragiudiziale rappresenta un aspetto determinante non soltanto per la nostra professione, ma per la tutela del cittadino e per il funzionamento dell'ordinamento stesso.
Il corretto esercizio della consulenza legale, reso da soggetti competenti e deontologicamente responsabili, comporta un importante contenimento del contenzioso giudiziale sia perché consente un preventivo componimento conciliativo delle insorgende controversie, sia perché garantisce la conoscibilità delle norme (sempre più difficile nei moderni complessi sistemi giuridici) e, dunque, l'adesione spontanea dei cittadini all'ordinamento, sia perché scoraggia le iniziative giudiziarie prive di fondamento.
L'attività di consulenza legale, dunque, condiziona ed indirizza nel bene e nel male la successiva fase giudiziale: essa non può che essere svolta da chi abbia una diretta conoscenza delle patologie dei rapporti giuridici (ad esempio, solo chi ha visto i "cedimenti" in giudizio o in arbitrato di talune clausole è in condizione di scrivere un buon contratto). Nei Paesi avanzati l'attività consulenziale é fisiologica al funzionamento dell'ordinamento e copre più del 90% dell'attività svolta dagli studi legali: essa assicura le maggiori gratificazioni e si accompagna ad una società ben ordinata che, in maggioranza, vuole conoscere ed applicare la legge.
La mancata previsione di "esclusiva" a favore dell'avvocato comporterebbe la possibilità per chiunque di dare consigli legali, non importa se sprovvisto di titolo di studio e della benché minima competenza ed esperienza, senza alcun controllo del rispetto dei doveri deontologici, indifferente a qualsiasi regola per una corretta pubblicità informativa e nella più totale libertà di forme associative (ditte individuali, società di capitali, cooperative, ecc. ...). E tutto ciò anche in quelle materie tradizionalmente più protette dallo Stato (famiglia, minori, salute, sicurezza sul lavoro, materie penali, ecc. ...).
L'eventuale mancata espressa inclusione in una legge di riforma dell'attività esclusiva in favore dell'Avvocatura consentirebbe a chiunque (magari proprio a quelli che non hanno superato l'esame d'Avvocato o sono stati radiati o sospesi dall'Ordine) di svolgere trattative, conciliazioni, transazioni, ecc. ..., senza essere soggetto ad alcun segreto professionale, senza contribuire ad alcuna Cassa - Previdenza, ponendosi in posizione concorrenziale con chi, invece, ha percorso con fatica l'iter professionale richiesto.
Solo assicurando una prestazione qualificata ed un equo prezzo si tutela il consumatore, e col consumatore il mercato.
2. La situazione normativa attuale. Già esistono fondati argomenti che conducono a ritenere che la consulenza stragiudiziale sia "riservata" se svolta in forma professionale e non occasionale: per non tediarvi vi rimando all'interessante articolo di Dario Donella sul n. 1/2001 nella Rivista della nostra Cassa di Previdenza e, seppur in diverso ambito, alla sentenza della Cassazione (n. 49/2003). Forse ne esistono altre successive (sempre in materia penale) ma non ho verificato: é, comunque, evidente che sussiste la necessità di una chiara determinazione normativa che riconosca agli avvocati l'esclusiva nel campo della consulenza legale stragiudiziale, quando essa sia svolta professionalmente ed in forma continuativa.
In riferimento a tale ultimo aspetto
- é professionale quando costituisce attività professionale remunerata;
- é continuativa quando non é prestata in occasione di altra attività professionale (così, é evidente che il dottore commercialista può dare il proprio parere legale in occasione della stesura del bilancio, il notaio in occasione della stipula di un atto e della redazione di un testamento, l'architetto quando richiede una concessione edilizia ecc. ...: tutto ciò é perfettamente lecito ma é occasionale, cioé non costituisce l'oggetto dell'attività professionale perché é sempre accessorio ad una diversa professionalità).
3. Il panorama europeo. Direttive, decisioni della Corte di Giustizia e Legislazioni Contrariamente a quanto si ritiene, lo scenario europeo va nel senso di una riserva in materia di consulenza legale in favore degli avvocati.
Mi permetto di richiamare soltanto - il discorso é ormai lungo e potrebbe essere approfondito in una diversa occasione - la Direttiva 98/5/CE dai cui principi generali e dall'art. 5 non può che ricavarsi:
- che l'attività di consulenza legale (quando essa é professionale e non occasionale) é prevista specificamente propria dell'avvocato;
- che essa é riservata all'avvocato se vero é che pur tale professionista subisce, perché sia garantita all'utenza una effettiva o supposta competenza, le limitazioni dell'art. 5.
Se così non fosse, che senso avrebbero le limitazioni apportate all'attività dell'avvocato se il legislatore comunitario ritenesse che qualunque altro soggetto (non avvocato, non iscritto all'Albo, non soggetto alle regole professionali e deontologiche, ecc.) possa esercitare professionalmente la consulenza legale senza alcuna limitazione? Perché mai dovrebbe essere consentito a qualunque soggetto non avvocato l'attività di consulenza legale in forma totalmente libera ed invece limitarla quando questa sia prestata da avvocati?
Di grande rilevanza, anche sotto il profilo che qui interessa, é la deliberazione del Parlamento Europeo del 23 marzo 2006 che ha espressamente riconosciuto "la funzione cruciale esercitata dalle professioni legali in una società democratica, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, lo stato di diritto e la sicurezza nell'applicazione della legge, sia quando gli avvocati rappresentano e difendono i clienti in Tribunale che quando danno parere legale ai loro clienti".
Quanto alle decisioni della Corte di Giustizia mi paiono di grande rilevanza:
- la sentenza 7 novembre 2000 (causa C. 168/98 Granducato di Lussemburgo / Parlamento Europeo e Consiglio dell'Unione Europea) avente ad oggetto per l'appunto la consulenza prevista dall'art. 5 della Direttiva 98/5/CE;
- la sentenza Wouters (C. 309/99) e, in parte, quella Arduino (C. 35/99), nella quale si definisce l'attività dell'avvocato: "Gli avvocati offrono, dietro corrispettivo, servizi di assistenza legale consistenti nella predisposizione di pareri, di contratti o di altri atti nonché nella rappresentanza e nella difesa in giudizio".
Come è agevole osservare, la consulenza occupa, giustamente, il primo piano ed è , dunque, caratterizzante la professione forense almeno quanto quella giudiziale.
Proseguendo, la Corte considera "regole essenziali" per la professione l'indipendenza, la parzialità ed un rigoroso segreto professionale: ma se così è, e se soltanto la professione che sappia sommare tali principi a quelli stabiliti dalla sentenza 7 novembre 2000 possa candidarsi allo svolgimento dell'attività sopra descritta (consulenza legale più assistenza giudiziale), non è forse giocoforza concludere che l'Avvocatura e solo ad essa deve essere riservata l'attività di consulenza legale dal momento che altre professioni non posseggono tali caratteristiche (il revisore non è tenuto al segreto, il Notaio non è "parziale", ecc.)?
- La recente sentenza in materia di tariffe (C. G. C. E. 5 dicembre 2006) nella quale la Corte dimostra di accogliere una concezione ampia della professione, senza introdurre, in relazione all'applicabilità delle tariffe, distinzioni tra attività giudiziale e consulenza.
Quanto, infine, alle legislazioni degli altri Stati dell'Unione, accanto a quelle che già sono esistenti (ad esempio: Francia) occorre aggiungere che in Portogallo una recente legge (la n. 49 del 24 agosto 2004) ha riconosciuto agli avvocati l'esclusiva per l'attività di consulenza giuridica svolta in forma professionale.
La legge portoghese:
all'art. 1, punto 1, dispone: "Solo i laureati in legge con iscrizione in vigore all'Ordine degli Avvocati e i procuratori legali iscritti alla Camera dei Procuratori Legali possono compiere gli atti tipici degli avvocati e dei procuratori legali";
all'art. 1, punto 5 precisa: "Sono atti tipici degli avvocati e dei procuratori legali:
l'esercizio del mandato forense;
la consulenza giuridica";
ed al successivo punto 6 aggiunge che: "Sono anche atti tipici degli avvocati e dei procuratori legali quelli seguenti:
la preparazione di contratti e il compimento degli atti preparatori miranti alla costituzione, alla modifica o alla estinzione di negozi giuridici, in particolare quelli compiuti presso conservatorie e studi notarili;
la negoziazione mirante alla riscossione di crediti;
l'esercizio del mandato nell'ambito di un ricorso contro o d'impugnazione di atti amministrativi o tributari";
all'art. 7, punto 7 la legge precisa che tale esclusiva riguarda la consulenza legale svolta in forma professionale non occasionale ed infatti stabilisce: "Si considerano atti tipici degli avvocati e dei procuratori legali gli atti che ... siano compiuti nell'interesse di terzi e nell'ambito dell'attività professionale, senza pregiudizio delle competenze peculiari attribuite alle altre professioni o attività il cui accesso o esercizio è regolato dalla legge".
La legge prosegue dando una definizione (art. 3) della consulenza giuridica e ne vieta l'esercizio in forma societaria (se non per le società consentite agli avvocati e procuratori), e stabilendo la legittimazione dell'Ordine degli Avvocati tanto per richiedere alle Autorità competenti la chiusura dello studio abusivo quanto per le iniziative in campo penale (è espressamente previsto un reato, art. 7, riconducibile al nostro esercizio abusivo di una professione, punibile con pena detentiva sino ad un anno, oltre la pena pecuniaria; ma è pure prevista una contravvenzione per chi divulghi o pubblicizzi gli atti redatti da soggetto non abilitato), così come in campo civile, in quanto l'art. 11 stabilisce che "Gli atti compiuti in violazione di quanto disposto all'articolo 1. sono considerati colposi, ai fini della responsabilità civile".
Va da ultimo ricordato (ma la precisazione non sembra insignificante riconducendo la ratio della legge all'alveo della tutela di un interesse pubblico) che il ricavato delle contravvenzioni ed ammende è destinato per il 40% all'Istituto del Consumatore e per il 60% allo Stato; i risarcimenti da responsabilità civile saranno invece devoluti ad un fondo destinato alla promozione di azioni di informazione presso i cittadini e di prevenzione per far sì che l'attività legale sia svolta da soggetti ad essa autorizzati.
*** ** ***
Poche riflessioni ancora su due punti che abbiamo discusso nella nostra riunione prenatalizia.
Pratica La riduzione del periodo di pratica non è accettabile: tale esperienza è e deve essere considerata essenziale nella formazione di un futuro avvocato (la deontologia, il rapporto con il cliente, quello con i colleghi e con i Magistrati, l'attività procuratoria ecc.. non si imparano sui banchi di scuola).
Piuttosto
- penserei se è possibile allargare la pratica ad altre esperienze (con i Magistrati, con certi settori dell'Amministrazione);
- è da spostare il controllo dal praticante al dominus: è quest'ultimo che deve garantire la bontà e l'effettività, è su di lui che l'Ordine deve concentrare una serissima attività ispettiva (già prevista dalla nostra legge e costantemente disapplicata dagli Ordini).
Nessuna scuola può essere considerata supplente ad una effettiva pratica: va rigettata l'abitudine, tipicamente italiana, ma negativa, di considerare la semplice frequenza, il trascorrere del tempo elisir di accesso ad una professione (come per l'Università dove si incontrano ormai numerosissimi docenti il cui unico merito è consistito nel perseverare nell'attività di borsisti o assistenti).
Pubblicità Ho letto ed apprezzato quanto hanno scritto Nino Raffone e Paolo Berti. Vorrei aggiungere che un punto fondamentale è quello dei canali attraverso cui può essere ammissibile l'attività pubblicitaria. Lo scopo, dichiarato dalla legge, è consentire l'informazione del cittadino: ma se così è, la pubblicità deve essere lecita solo su richiesta dell'utente. In altre parole, dovrebbero essere escluse uscite nei giornali, radio o televisione e così pure spero di non vedere mai santini o foglietti sui parabrezza delle auto all'uscita dello stadio o del teatro. Chi ha bisogno di informazione può richiederla: ma il servizio legale non è come il Dixan di cui si presuppone che tutti abbiano bisogno, ed è dunque da escludere che la proposta giunga anche a chi non necessita della prestazione.

Mario Napoli
Ulteriore contributo di Mario Napoli
1. La legge delega (disegno)
Le disposizioni del disegno di legge delega (non dispongo del testo approvato), in considerazione delle genericità delle previsioni ed ancor più della specifica indicazione di "diversificazioni necessarie", mi sembrano rendere possibili future discipline della professione di avvocato le più diverse ed opposte: da quella avente riferimento al mercato ed alla concorrenza di stampo bersaniano ad una caratterizzata da un impianto più tradizionale, attenta alla qualità della prestazione e disponibile a riconoscere all'avvocato, per una maggior tutela del cittadino, maggiori diritti (gravandolo, al contempo, di pressanti obbligazioni).
Non pare dubitabile che il problema si sposti, dunque, al legislatore delegato al quale è affidato un ventaglio amplissimo di possibilità perché, se è ben vero che alcuni aspetti presenti nella delega possono apparire discutibili o negativi già oggi (il sistema duale ordini/associazioni, il socio di capitali - ma di minoranza, senza poteri di amministrazione, destinatario di prestazioni esclusivamente tecniche - nelle società tra professionisti, la compatibilità deontologica tra diverse professioni demandata al governo e pochi altri) è altresì vero che la possibilità di diversificazioni può togliere ogni loro rilevanza in sede di disciplina delegata.
Mi pare, pertanto, che si ripropongano quelle considerazioni di ordine generale sulle quali già ci siamo intrattenuti perchè, a seconda dell'"ideologia" che risulterà prevalere, la nostra futura professione potrà assumere connotazioni profondamente differenti; Vi prego pertanto di scusarmi se ritorno su temi già espostiVi.
2a. Peculiarità dell'esercizio della professione di avvocato.
L'attività di avvocato non è assimilabile ad altri servizi: è collegata ed è garanzia del diritto alla difesa, anche nell'attività di consulenza stragiudiziale, che è fondamentale per uno Stato di diritto ed è e deve essere riconosciuto a livello costituzionale nazionale, quanto europeo ed internazionale come espressamente indicato nella carta UIA di Torino.
2b. Il mercato e la qualità del servizio.
E' ben vero che nella grande maggioranza delle attività economiche il riferimento corretto è il mercato, la possibilità di circolazione delle merci e dei servizi ed il loro prezzo: ma tali riferimenti non sembrano validi in taluni ambiti (come quello della sanità, dell'assistenza legale e giudiziaria) nei quali l'unico o il preponderante riferimento sembra dover essere la qualità del servizio. Come vi accennavo, a nessun cittadino/cliente interessa disporre di medici più numerosi per poterne confrontare prestazioni e costi, ma tutti desiderano che sia assicurata una ragionevole certezza che il servizio sia reso con la maggior professionalità possibile e sia in grado di risolvere il problema che affligge; così è anche nel campo legale, ove al cittadino/cliente deve essere assicurato un servizio mediamente apprezzabile da un punto di vista qualitativo, venendo in secondo piano gli aspetti relativi al costo ed al mercato (allo Stato, se del caso, competerà il problema dell'accesso al servizio, come peraltro è nel campo sanitario).
2c. I limiti alla concorrenza e i valori dell'avvocatura.
Molti di quegli elementi che sono considerati ostacoli alla circolazione dei servizi, in taluni specifici ambiti (come quello legale), a mio avviso devono essere considerati, al contrario, indispensabili, funzionali e necessari al consumatore. L'esame d'accesso è certo ostacolo all'allargamento quantitativo di una professione, ma è condizione per un suo livello qualitativo adeguato a soddisfare determinati bisogni dei cittadini: che ne sarebbe dei diritti di questi ultimi alla salute, alla giustizia se tutti, senza controllo di ammissione, potessero essere dottori, avvocati, ecc.? Gli obblighi deontologici comportano una istituzione vigilante, sono gravosi ed intralciano la professione: ma quale sarebbe la tutela per il cittadino se non esistessero obblighi di segreto, indipendenza, aggiornamento, moralità professionali? Anche le tariffe, quando non esprimono esigenze puramente corporative, assecondano l'esigenza del cliente di pagare un giusto compenso e di non essere lasciato alla balia del mercato proprio quando richiede servizi particolarmente necessari e delicati.
Gli ostacoli, dunque, possono e dovrebbero essere considerati, in taluni ambiti della libera professione, come caratteristiche salienti, caratterizzanti e necessarie del professionista: più sono gravanti, più sono garantiti i cittadini.
2d. Il consumatore cliente e l'asimmetria informativa.
La c.d. "asimmetria informativa" caratterizzante la nostra professione (e cioè la difficoltà per il consumatore di comprendere le peculiarità del servizio reso dall'avvocato), non può essere colmata con la pubblicità: al contrario è proprio una efficiente regolamentazione del servizio che tutela e protegge il consumatore assicurandogli una qualità accettabile. E ciò è tanto più vero ed importante nei confronti del cliente poco informato e poco qualificato, facile preda dell'attività pubblicitaria, perchè quello di alto livello (professionisti, imprese ecc.) normalmente sa molto bene a quale avvocato rivolgersi (e sa distinguere tra penalista, civilista, amministrativista, esperto in diritto di famiglia, di diritto industriale ecc.).
2e. Il livello della prestazione.
In quasi tutti gli altri servizi e nelle merci esistono vari livelli di qualità (a cui corrispondono prezzi diversi): non è così per la professione dell'avvocato, al quale il cliente affida i beni più cari (la libertà, l'onore, il patrimonio, i rapporti e gli affetti famigliari) che, almeno in via di principio, devono trovare sempre una prestazione professionale alta o comunque tendente al meglio. L'attività di avvocato non genera prodotti di mercato, ripetitivi, standardizzati: ogni mandato è unico ed irripetibile, l'opera è caratterizzata dalla personalità della prestazione (e non dai capitali impiegati, se non in misura trascurabile).
3. Accesso alla professione e numero degli iscritti.
La legge delega attribuisce agli Ordini, oltre alla tenuta dell'Albo, la vigilanza sul corretto esercizio della professione, il rispetto delle regole deontologiche, la conciliazione tra professionista e cliente in tema di compensi, la formazione tecnico-professionale e l'aggiornamento dei propri iscritti e l'adozione di iniziative per favorire l'ingresso nella professione di giovani meritevoli in situazioni di disagio economico.
A me pare che tali finalità non potranno essere in alcun modo seriamente perseguite se non attuando un vigoroso controllo e contenimento numerico degli esercenti la nostra professione. Capisco l'impopolarità di introdurre un numero chiuso (a mio avviso più apparente che reale, se ben spiegata e se inserita all'interno di un complessivo quadro che ponga il cittadino al centro della tutela), ma continuo a ritenere assolutamente indispensabile una forma di "calmieramento" dell'accesso.
A me pare che occorra:
- evitare o scoraggiare migrazioni di candidati verso sedi benevole (evitando tra l'altro agli Ordini tutta la burocrazia conseguente al doppio trasferimento);
- rendere più consapevoli le commissioni distrettuali, oggi in taluni casi lassiste nella certezza della non permanenza di gran parte dei neo-avvocati nel distretto di esame;
- consentire una abilitazione nazionale unica a parità di condizioni e senza i guasti di un esame per venti/trenta mila candidati;
- favorire un rallentamento dell'attuale crescita numerica dei nostri albi (l'aumento nel numero abbassa il livello qualitativo della professione).
Tutto ciò è ottenibile unicamente - non riesco ad immaginare altra possibilità - prevedendo:
• un esame su base distrettuale che abiliti all'esercizio nel solo distretto ove si è superato l'esame senza possibilità di trasferimento quanto meno per un periodo iniziale (10 anni?);
• un esame unico su base nazionale (da tenersi anche non a Roma) di significativo impegno e con una commissione esaminatrice particolarmente qualificata che consenta sin dal suo superamento l'iscrizione all'albo di qualsivoglia circondario e l'esercizio della professione, come ora, davanti a tutte le Corti d'Appello ed i Tribunali della Repubblica.
Una tale normativa non pare contrastare:
• né coi principi cardine della Comunità Europea in quanto il riferimento del Trattato istitutivo è l'eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione ed allo stabilimento di persone e servizi; anche il ravvicinamento delle legislazioni nazionali è rilevante solo se incidente direttamente sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune. In ogni caso, la concessa possibilità di un esame abilitante sull'intero territorio consentirebbe di superare ogni profilo critico;
• né con le disposizioni della Direttiva 98/5 dal momento che la disciplina rispetto all'avvocato straniero non dovrebbe mutare dall'attuale;
• né con la disciplina costituzionale sia in quanto è, comunque, assicurata la possibilità di accedere all'esercizio in ambito nazionale, sia in quanto non è ravvisabile quale possa essere la norma costituzionale violata (anzi, altre professioni liberali, come ad esempio i Notai, soffrono limitazioni territoriali e senza termine e senza eccezioni).
4. Segue
Sul contrasto finalità/numero iscritti vi rassegno brevemente le considerazioni che ho già esposto tanto a Voi quanto al Consiglio dell'Ordine in merito all'impossibilità di assicurare un effettivo controllo dell'aggiornamento professionale mediante i crediti formativi nell'attuale situazione numerica del nostro albo (che non è certo la peggiore a livello nazionale, anzi): il regolamento proposto dalla Commissione scientifica prevedeva la necessità di 10 crediti di due ore ciascuno ogni anno.
Ebbene, prendendo a base i nostri iscritti nel numero arrotondato di 4.500 (dimenticando praticanti ed albi speciali), tenendo conto della durata minima di due ore del modulo di aggiornamento (4500 x 2 = 9.000) e del minimo dei punti previsto dal regolamento e cioè 10 (9000 x 10 = 90.000) e della necessità di diversificare almeno tra penale e civile (90.000 x 2 = 180.000)) ed ipotizzando che almeno il cinquanta per cento dei corsi sia di interesse dell'avvocato e della necessità, conseguente, di offrire una scelta anche minima perché anche i temi non siano imposti (180.000 x 2 = 360.000), dividendo per i giorni annualmente disponibili (360.000 : 180 = 2000) e per il massimo della capienza della nostra aula Croce (2.000 : 700) si perviene alla conclusione che l'attività di aggiornamento comporterebbe ogni giorno, nel massimo utilizzo dell'aula magna (ipotesi assolutamente improponibile) ben tre ore di corso. E questo oggi, perché se si fa riferimento all'attuale crescita annuale di 500/600 iscritti per anno si giunge a raddoppiare il dato sopra indicato in meno di dieci anni.
A tacere di problemi di segreteria (costi, autorizzazioni, rilevamento presenze, incasso iscrizioni, ecc.) è di tutta evidenza che nell'attuale struttura (e mentalità) l'Ordine è del tutto impreparato a sopportare un tal urto pur con l'ausilio della Fondazione ed, eventualmente, delle associazioni forensi.
Anche sotto tal profilo, a mio parere, una scelta di fondo si impone.

Mario Napoli
Contributo di Nino Raffone
A me pare opportuno non svolgere generiche e indifferenziate proteste contro il disegno di legge delega Mastella, perchè sarebbero destinate a non essere nemmeno prese in considerazione, stante la volontà sia della maggioranza che della opposizione di intervenire in materia di riforma delle professioni.
Pur senza dilungarmi più di tanto, mi pare che la proposta di legge delega Mastella non si discosti in modo significativo (se non per la tecnica legislativa) da quella proposta dall'On. Vietti nella scorsa legislatura, e che a detta del suo autore non venne approvata per "un eccesso di concertazione, avendo lavorato per anni ma inutilmente a tentare di ottenere il consenso dei professionisti e delle loro associazioni, Casse, Ordini, ecc." (vedi articolo Vietti sul Sole del 2.12.2006).
Appare quindi più utile, almeno allo stato, concentrare le nostre osservazioni su alcuni punti che ci mettono maggiormente in crisi, perché contrastanti con la nostra tradizione e maggiormente da noi sofferti.
Al momento mi pare di indicare quali primi punti critici che possono veramente incidere negativamente i seguenti:

1) Consentire il ricorso alla pubblicità.
2) Rendere possibile il patto di quota lite.
3) Restringere l'ambito delle attività riservate.



IL RICORSO ALLA PUBBLICITA'
Il disegno di legge Mastella, approvato dal Consiglio dei Ministri e che ora inizia l'iter parlamentare, all'art. 2, comma 2, lettera i) (ma deve essere un errore, dovrebbe trattarsi della lettera l) perché la lettera i già impegnata) stabilisce che il decreto legislativo dovrà attenersi a questo principio:
"consentire la pubblicità a carattere informativo, improntata a trasparenza e veridicità, relativamente ai titoli e alle specializzazioni professionali, alle caratteristiche del servizio professionale offerto, ai costi complessivi delle prestazioni".
Il successivo art. 7, comma 1, lettera a) ove si prevede l'introduzione di codici deontologici di categoria fissa il principio che dovranno essere introdotte tra l'altro norme idonee a "stabilire che la violazione dei principi in materia di pubblicità di cui all'art.2, comma 1, lettera e) possa essere fonte di responsabilità disciplinare". Ora a parte l'errato riferimento alla lett. e) che ha altro oggetto, evidente frutto di mancata attenta e corretta rilettura del testo di legge, resta il compito di valutare la portata della delega, e esaminare se sono possibili correzioni in senso di maggiore garanzia per l'utente consumatore e per la categoria degli altri professionisti.
Tralasciando in questa sede ogni disquisizione sulla natura e funzione della pubblicità, e sui limiti della stessa, sul carattere di decoro cui dovrà attenersi, e via così chiacchierando un po' a vuoto, temi che comunque dovranno essere ripresi, osservo che in ogni caso le due norme devono essere intese in modo unitario come finalizzate a fornire piena attuazione a quanto stabilito sempre all'art.2, comma 1, lett.c) ossia che scopo della delega (da travasare nei decreti delegati) dovrà essere quello di "garantire la libertà di concorrenza dei professionisti ed il diritto degli utenti ad una effettiva ed informata facoltà di scelta e ad un adeguato livello qualitativo della prestazione professionale".
Ma se queste considerazioni sono esatte, allora dobbiamo chiederci come gli utenti potranno avere una informazione pubblicitaria corretta e tale da consentire loro una scelta che sia informata anche al fine di ricevere un adeguato livello qualitativo della prestazione.
Se questo è lo scopo da raggiungere, e cioè ripeto la libertà di concorrenza tra professionisti e il diritto degli utenti di scegliere con cognizione di causa, bisogna introdurre un sistema di pubblicità che consenta il raggiungimento di entrambi questi scopi. A mio parere il messaggio pubblicitario dovrà contenere obbligatoriamente dei dati oggettivi, forniti da chi invia il messaggio, e controllabili prima della scelta sia dagli utenti che dai colleghi del professionista, in quanto entrambe le categorie non devono essere danneggiate da pubblicità menzognera, e ciò proprio perché la libertà di concorrenza non venga alterata. L'omissione nel messaggio pubblicitario di questi dati obbligatori, ovvero l'indicazione di dati falsi, dovrà dar luogo non solo ad una sanzione deontologica ma anche di altra natura, con conseguenze risarcitorie a favore di chi risulta danneggiato dal messaggio pubblicitario. Si può prevedere, ovviamente, una sanzione graduale a seconda della violazione, ma comunque certa. In questo modo, a mio giudizio, si introducono regole di maggior moralità anche in questo settore pubblicitario, con vantaggio per l'immagine e la trasparenza della categoria e maggior tutela degli utenti.
Si tratta ora di stabilire quali debbano essere gli elementi di informazione da includere obbligatoriamente nel messaggio pubblicitario.
La proposta di legge afferma che la pubblicità, ovviamente improntata a trasparenza e veridicità, riguardi:
1) titoli di studio e specializzazioni professionali;
2) caratteristiche del servizio professionale offerto;
3) costo complessivo delle prestazioni.
In modo sicuramente provocatorio (ma le provocazioni servono a suscitare dibattiti) ma forse utile, per poter meglio valutare la prestazione offerta, mi pare che nel messaggio pubblicitario dovrebbero anche essere resi obbligatori questi ulteriori dati informativi:
4) anzianità di iscrizione del professionista all'albo professionale;
5) i dati dei redditi professionali dichiarati nell'ultima dichiarazione dei redditi.
Cerco di spiegare il perché di queste richieste.
Col primo requisito (anzianità professionale) si rende evidente che la prestazione viene offerta da chi svolge la professione da un numero più o meno elevato di anni, e nel comune modo di sentire la maggiore anzianità coincide con una maggiore esperienza. Questa opinione pur rovesciabile come ogni opinione tranciante, resta pur sempre uno dei parametri facilmente valutabile dall'utente, il quale non sempre ha la capacità per apprezzare altri parametri, ad esempio le specializzazioni, rilasciate a volte da associazioni del tutto sconosciute, e comunque non controllabili.
Col secondo requisito (denuncia dei redditi) si tende ad offrire un parametro dal quale dedurre l'apprezzamento professionale del proponente il messaggio professionale. Anche in questo caso normalmente il maggior reddito professionale corrisponde ad una maggiore quantità di pratiche professionali svolte, il che lascia intendere la stima e il prestigio di cui si è circondati. So bene che non vi è sempre una corrispondenza automatica tra maggior reddito e migliore professionalità, ma qui si tratta di permettere al destinatario del messaggio di scegliere tra varie proposte. Mi rendo anche conto che questa opzione è marchiata da una concezione che può essere ritenuta eccessivamente rigorosa e punitiva. Tuttavia se la proposta contribuisce ad eliminare qualche sacca di evasione fiscale, e a permettere un qualche controllo sociale, e a presentare la nostra categoria come un insieme di professionisti che non temono di dichiarare il proprio reddito non avendo nulla da rimproverarsi, ben venga la proposta stessa.
Mi rendo conto che l'introduzione di questi parametri può essere negativa per coloro che hanno iniziato la professione da poco tempo o che denunciano redditi bassi proprio perché si trovano nella fase iniziale della carriera professionale, o per una serie di circostanze non controllabili. Si tratta di osservazione fondata e si tratterà di trovare qualche compensazione per queste ipotesi, ad esempio imponendo la dichiarazione dei redditi ai professionisti che sono iscritti da almeno 4-6 anni all'albo, oppure facendo una media dei redditi per un determinato numero di anni. Quello che mi interessa è l'introduzione del principio, salvo studiare l'attuazione concreta.


LA POSSIBILITA' DEL PATTO DI QUOTA LITE
Il disegno di legge delega Mastella prevede all'art.2, comma 1, lett. m) che il futuro decreto delegato debba "prevedere che il corrispettivo della prestazione sia consensualmente determinato tra le parti, anche pattuendo compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; garantire il diritto del cliente alla preventiva conoscenza del corrispettivo ovvero, se ciò non sia possibile, all'indicazione di una somma individuata nel minimo e nel massimo; prevedere, a tutela del cliente, la individuazione generale di limiti massimi dei corrispettivi per ciascuna prestazione".
E' chiaro che si tratta di ipotesi diverse. Se dipendesse da me abolirei l'ultima ipotesi col riferimento a "ciascuna prestazione". Il nostro tariffario, ammesso che continui a restare così com'è, descrive molte decine di prestazioni del tutto incomprensibili per il cliente, che non può distinguere tra le varie voci.
Veniamo invece al patto di quota lite, che suscita timore nella categoria, per la preoccupazione che colleghi scorretti potrebbero approfittarne a danno di clienti sprovveduti.
Non c'è dubbio che questo rischio esista. Faccio però presente che in alcune realtà di fatto la parametrazione al risultato conseguito esiste: basti pensare ai giuslavoristi che lavorano col sindacato e che nulla percepiscono se la causa risulta negativa; ai colleghi che si occupano di infortunistica stradale; agli avvocati che trattano questioni di previdenza, e gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Semmai è ora di moralizzare questa situazione, per cui suggerirei l'introduzione di alcuni paletti.
1) Il patto di quota lite deve essere stabilito per iscritto a pena di nullità. Si tratta di disposizione già in vigore col decreto Bersani, che ha modificato in questo senso l'art. 2233 del codice civile, e si tratta di un requisito di forma che è bene ribadire e semmai rafforzare;
2) Sempre in modo provocatorio, ritengo che sarebbe bene riprendere quanto già contenuto nel decreto Bersani circa l'adozione sia nelle convenzioni pattizie sia nei codici deontologici, delle misure idonee da introdurre a garanzia della qualità delle prestazioni professionali. Il cliente che abbia sottoscritto il patto di quota lite deve conservare il diritto di far valutare dall'organismo di controllo sull'avvocatura il livello della prestazione professionale svolta. Si tratta di limite delicato e di difficile attuazione, ma sul contenuto e gli strumenti di controllo si potrà lavorare;
3) Il patto di quota lite a mio giudizio non dovrebbe essere ammissibile quando si controverta su questioni che coinvolgano anche aspetti non patrimoniali di particolare delicatezza (ad esempio diritto di famiglia e delle persone; licenziamenti soprattutto se discriminatori; ecc.). Per le ipotesi di ammissibilità del patto, si può in ogni caso introdurre un tetto, oltre il quale il patto è nullo. In buona sostanza si può proporre di introdurre qualcosa di analogo alle disposizioni esistenti in materia di usura. Ove il patto di quota lite venisse considerato nullo, dovrebbe essere il nostro organo di autotutela a liquidare i compensi, utilizzando i normali canoni, come avviene già adesso, e ciò per riconoscere al professionista il compenso. Nello stesso tempo però si dovrebbe sanzionare deontologicamente chi ha usato in modo scorretto questo strumento.

IL SETTORE DI ATTIVITA' RISERVATA
E' un problema che è stato sollevato più volte, ma che fatico a comprendere.
Per evitare di dire scemenze, sono andato a rivedere la carta costituzionale, e mi rallegro di constatare che ricordavo bene: il principio costituzionale è contenuto nell'art. 24 che stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti; che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento; che sono assicurati ai non abbienti i mezzi per agire o difendersi avanti ogni giurisdizione. Concetti analoghi sul diritto a tutelarsi in sede giurisdizionale sono ripresi negli artt. 111 e segg.
Mi pare che dalla Costituzione si evinca la indispensabilità dell'avvocatura per l'attività di difesa avanti ogni sede giurisdizionale, e conseguentemente questo è il settore di esclusiva pertinenza della nostra professione, ma non mi pare che esista nella nostra carta costituzionale un analogo diritto per le fasi stragiudiziali, anche se sono ben cosciente che sovente sono delicate come quelle giurisdizionali.
Non sono competente in materia, ma nella legge fondamentale del 1933 non trovo il richiamo ad una riserva a favore degli avvocati per la trattazione di questioni extragiudiziarie. Del resto se veramente esistesse questa riserva in oltre 70 anni si sarebbero dovuto sporgere una infinità di denunce per esercizio abusivo della professione contro i geometri, consulenti del lavoro, commercialisti, ecc. che sicuramente offrono pareri legali in misura superiore a quella nostra.
Quindi o io non ho compreso il problema, oppure la previsione di cui al disegno di legge delega Mastella (art.1, comma 1) di limitare l'ambito delle attività riservate, a tutela della concorrenza non ci riguarda.

Nino Raffone
Contributo di Paolo Berti
PREMESSA
Confesso di avere sempre avuto una concezione piuttosto solenne del mestiere che svolgo: l'avvocato, nel mio immaginario, è l'estremo baluardo dei diritti delle persone nonché il nemico giurato di ogni forma di ingiustizia.
Con questo pensiero ho coltivato l'idea di fare la professione e con questo timone ho cercato di navigare nel mare dell'avvocatura.
Quanto sopra non ha, evidentemente, impedito che mi confrontassi criticamente con il metodo, non altrettanto encomiabile, con il quale il nostro mestiere viene talvolta (spesso?) praticato: ideali e realtà si sono rivelati, talora, antinomici e forieri di conflitti.
Ciò nonostante, ho sempre cercato di recuperare, nei comportamenti e nell'etica che li deve sottendere, quel valore di derivazione costituzionale che riveste il nostro servizio, scansando contemporaneamente sia le derive corporative che quelle, altrettanto inaccettabili, del mercantilismo più sfrenato.
E' anche per questa mia rigidità di fondo che fatico a correre dietro ai tempi, alle riforme che incombono, ai propositi di cambiamento che bussano, oggi, alla porta con inusitata virulenza.
Resto pertanto dell'idea - parafrasando le parole del senatore Calvi - che "la professione di avvocato ha caratteristiche così peculiari che richiedono una disciplina autonoma..." e, se mi è permesso, poco mi importa se questo pensiero sia in controtendenza rispetto ai tempi ovvero politicamente scorretto.
Se non si riesce a far comprendere (ed a comprendere noi stessi) che il ruolo dell'avvocato, non per casta o per censo ma per sua intrinseca funzione istituzionale, possiede in sé un quid pluris rispetto a quasi tutte le altre, pur nobili, professioni intellettuali, si accetta supinamente la degenerazione verso un sistema - Giustizia che annulla anziché consolidare i diritti dei cittadini ed in particolare di quelli più bisognosi di aiuto.
A questa genuflessione non mi rassegno.
La sottolineatura della nostra peculiarità non significa chiudere le porte al cambiamento ma piuttosto prendere atto delle trasformazioni senza inseguirle a tutti costi ma anche senza farsi travolgere dalle stesse.
Quest'ampia premessa è il mio preambolo alle idee che seguono.
E' vero - si dirà - che il cittadino / consumatore merita di essere tutelato nell'approccio al professionista: è con questo obiettivo- da non essere vissuto come antitetico rispetto alla salvaguardia dei nostri valori professionali- che si deve operare la "spallata" alla legge professionale del 1933.
Cerchiamo di vedere come.
*****
Non sono nato avvocato né lo erano i miei ascendenti: la ricerca dell'immedesimazione rispetto alla posizione del cliente (nel senso di capire cosa pensi il nostro interlocutore) è un giusto e sacrosanto obiettivo che sento, ogni giorno, il bisogno di perseguire.
Che cosa chiede, il cliente, all'avvocato? Provo a sintetizzare la risposta:
a) se è in grado di gestire il suo problema e se è specializzato nella materia di cui si tratta;
b) se ha ragione o torto ed in ogni caso di conoscere i perché in termini chiari e comprensibili;
c) quali siano le strade migliori per tutelare il proprio diritto;
d) quali siano i costi approssimativi ed i tempi necessari per raggiungere l'obiettivo medesimo.
La qualità della risposta dell'avvocato agli interrogativi dei clienti presuppone, necessariamente, un accesso alla professione "educato ed educativo", nell'ambito di un percorso che parta dalle Università e che si sviluppi attraverso un tirocinio significativamente lungo ed, in ogni caso, assai più ficcante di quello attuale.
Penso ad una sorta di "apprendistato" (che attingo dal mondo del lavoro) con precisi obblighi formativi verso il candidato ma con altrettanto espliciti obblighi remunerativi da parte del dominus, il tutto accompagnato da un controllo periodico da parte del Consiglio dell'Ordine competente.
Si potrebbe prevedere la concessione di bonus/talenti in favore di tutti i coloro i quali coltivino puntualmente e positivamente la pratica, da spendere nell'ambito dell'esame di ingresso e favorire l'insegnamento teorico e pratico della deontologia forense.
Il premio verso il candidato diligente dovrebbe avere, come contraltare, l'osservanza di una maggiore severità nell'esclusione dei non meritevoli ovvero di coloro i quali non dimostrino concretamente di voler proseguire nella professione.
Analoga severità deve essere applicata nei confronti di chi già esercita la professione di avvocato, intensificando ed inasprendo i controlli e l'esercizio della funzione disciplinare.
Al riguardo penso all'ingresso nelle commissioni di disciplina di "rappresentanti esterni" (giudici, funzionari del Ministero??); alla sottoponibilità ad azione disciplinare dell'avvocato che, pur potendolo, ometta di segnalare all'organo di disciplina un comportamento scorretto di un collega; all'individuazione di ulteriori fattispecie di illecito disciplinare (ad esempio per chi non paga i praticanti o mal li utilizza, od i propri dipendenti ); all'eliminazione di un grado di giudizio nei confronti del collega che abbia subito una sanzione; ad una maggiore assimilazione fra procedimenti penali ed azioni disciplinari.
A mio avviso, una proposta condivisibile contenuta nel cosiddetto progetto Calvi è quella volta al controllo della continuità dell'esercizio della professione (molti sono iscritti agli Albi ma non tutti esercitano continuativamente): il criterio dell'individuazione di un reddito minimo non è certo scevro da critiche ma è forse il migliore per certificare la continuità professionale.
*****
A proposito del tema inerente la pubblicità, rilevo in primo luogo come il disegno di legge Mastella, alla lettera e) dell'art. 2 preveda che la pubblicità non debba essere né ingannevole né comparativa e debba essere comunque rispettosa del decoro professionale, demandando al codice deontologico l'individuazione di "specifici e circoscritti" limiti.
Il rimando ai codici deontologici è fondamentale e deve essere sfruttato a dovere.
Occorre sicuramente, nell'indicazione dei limiti, proibire la diffusione di dati meramente soggettivi di cui l'utente non può verificare l'esistenza.
Il messaggio potrà contenere l'indicazione dell'anzianità professionale, dell'età anagrafica, della tipologia di studio, delle specializzazioni (anche se su questo punto occorrerà individuare delle forme ad hoc per la certificazione: mondo associativo, consigli degli ordini???); delle eventuali pubblicazioni scientifiche; del volume d'affari e del numero medio di clienti gestiti e via discorrendo.
Credo sia opportuno evitare la diffusione del messaggio attraverso la televisione e la radio, strumenti di comunicazione di massa eccessivamente mercantili e, ad ogni modo, ritengo che il testo del messaggio debba passare preventivamente al vaglio del Consiglio dell'Ordine prima di essere diffuso.
La riforma sarà anche l'occasione per disciplinare, più nel dettaglio, la partecipazione del professionista a trasmissioni televisive ed alla regolamentazione dei rapporti che questi intrattiene con la Stampa in generale: l'attuale decadimento merita di essere frenato!
*****
Un altro argomento scottante è quello relativo all'attività stragiudiziale.
Anche qui il richiamo al disegno di legge Mastella (art. 3 paragrafo B) permette di cogliere al volo l'invito a dettagliare le attività che siano riservate per legge all'avvocato.
Orbene, è pur vero che la Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio secondo cui la consulenza stragiudiziale non rientra tra le materie di cui l'avvocato abbia l'esclusiva, ma è altrettanto vero che talune volte la suprema Corte ha introdotto dei correttivi stabilendo, ad esempio, che la riserva di consulenza stragiudiziale permanga quando venga svolta non sporadicamente ma professionalmente (vedi Danovi, Corso di Ordinamento Forense e Deontologia, pagg. 172-173).
Mi sembra importante sottolineare come l'attività stragiudiziale sia, per certi versi, ancor più delicata di quella giudiziale ove, quantomeno, sussiste un vaglio da parte del Magistrato.
Francamente non capisco il motivo per cui, ad esempio, talune attività peculiari dell'avvocato in quanto intrinsecamente connesse all'approccio alla giustizia, come la redazione di un'istanza di ammissione al passivo fallimentare, la redazione di un ricorso per separazione personale o la predisposizione di una querela, possano essere svolte da chiunque, anche da chi non abbia la minima consapevolezza ed il minimo studio alle spalle.
Che dire, inoltre, della gestione del contenzioso di lavoro presso le Direzioni Provinciali, attività anche questa propedeutica alla stessa causa di lavoro al punto che l'esperimento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di proponibilità della domanda giudiziale?
Quantomeno questi aspetti (stragiudiziali/giudiziali, poco importa) dovrebbero rappresentare la nostra "linea del Piave", se non vogliamo, come, a mio avviso invece dovremmo, inserirvi anche l'attività di redazione di contratti, la gestione delle pratiche di incidenti stradali e via discorrendo.
Non mi pare che nel disegno di legge sussistano, al riguardo, controindicazioni.
*****
Sul terreno delle tariffe - che mi pare quello più caldo dopo il decreto Bersani - occorre ancora una volta fare chiarezza, sempre nell'ottica di fornire le risposte che il cliente cerca.
In primo luogo, non dimentichiamoci che le tariffe a percentuale sono già previste nell'ambito della consulenza stragiudiziale e che anche il nostro codice disciplinare le contempla, seppur in un ambito limitato, all'art. 43: "è consentito all'avvocato concordare onorari forfettari in caso di prestazioni continuative di consulenza...purchè siano proporzionali al prevedibile impegno e non violino i minimi inderogabili di legge".
Secondo il Danovi (v. sopra, pag. 184) già oggi le tariffe possono tener conto dei risultati del giudizio e dei vantaggi anche non patrimoniali conseguiti dal cliente.
Un altro paio di argomenti mi sembrano pacifici:
a) un preventivo di massima, quantomeno per le cause non particolarmente complesse, è già oggi facilmente predisponibile;
b) se i costi fissi del giudizio sono più che certi, non vedo perché non debbano esserlo, seppure con una maggiore aleatorità, anche gli onorari.
Insomma: patti chiari!
Si potrebbe prevedere l'istituzione di scaglioni di tariffa che siano diversificati a seconda del risultato della causa e la fissazione di percentuali variabili con, in ogni caso, un tetto massimo inderogabile esclusivamente e limitatamente alle questioni che abbiano ad oggetto una somma di denaro.
Forse, si potrebbe ragionare anche sulle tipologie di cause, escludendo dalla possibilità della pattuizione del compenso quelle nelle quali siano coinvolti i beni e gli interessi primari delle persone (la libertà, il lavoro, la famiglia, la persona).
Il mantenimento dei minimi e dei massimi sembra non essere escluso dal disegno Mastella, come paiono presagire i paragrafi b) e c) dell'articolo 5 (se non li ho letti male), ma evidenzio come ciò sia collegato alla pretesa di una prestazione qualitativamente elevata: il controllo della qualità della nostra prestazione è un altro tema sul quale dovremo confrontarci e sul quale rimando a quanto ho detto sopra.

Paolo Berti

Contributo di Michela Quagliano
a) Sull'accesso alla professione
Condivido pienamente la riflessione di Paolo Berti circa l'accesso "educato ed educativo" alla professione.
Credo che, al di là del numero più o meno chiuso che, peraltro, mi pare abbia trovato ingresso nel progetto di legge approvato (vedi art. 2 lett. f) seppur con le necessarie specificazioni, questo sia uno dei nodi cruciali con i quali occorrerà confrontarsi ed esprimere una netta posizione, posizione che, insisto, dovrà diversificare, attraverso i contenuti, i giuristi democratici dalle altre forze.
Come ho già avuto modo di dire, credo che la pratica - in previsione del conseguente accesso - debba articolarsi in un percorso, costantemente assistito e monitorato, che si sviluppa attraverso gradini e diversi livelli. Mi piace pensare alla pratica come ad un periodo di "apprendistato" laddove tale termine riassume in sé un "fare" che si affianca ad un "sapere" e la sensibilità si acquisisce con il cimento. Tale percorso - che inizia con un test di ingresso volto a valutare le conoscenze giuridiche di base del candidato e che anche a quest'ultimo serve per capire se davvero il mondo al quale desidera accedere sia quello che fa per lui e non un'aerea di parcheggio e di attesa - dovrebbe essere scandito da verifiche costanti, anche preclusive di momenti successivi, che si divide tra teoria e pratica, finalizzato al raggiungimento di un livello di preparazione d'eccellenza che consenta poi di affrontare l'esame di Stato con serietà, ma certamente senza l'idea - che tutti ci ha accompagnati - di partecipare ad una vera e propria lotteria.
Sono consapevole dell'ambizione di tale proposito perché so bene che questo rappresenterebbe un notevole sforzo organizzativo degli Ordini ed un ancor pù notevole impegno dei singoli avvocati, ma credo anche che siamo chiamati a rilanciare per liberare il campo da accuse di corporativismo che per nulla ed in nessun modo ci appartengono. Peraltro, a fronte di una pratica che obbliga ad un grande impegno da parte di tutti bisogna essere pronti ad offrire un'equa contropartita: retribuzione per i praticanti e rigore per avvocati ed aspiranti tali.
Trovo inaccettabile la riduzione della durata della pratica ad un anno prevista dal progetto di legge non solo perché assolutamente insufficiente, ma anche in quanto ciò dimostra l'impossibilità di accomunare la nostra professione alle altre intellettuali. In altre parole, se per un medico - che già durante gli anni universitari ha affrontato un tirocinio pratico e che successivamente all'esame di Stato dovrà intraprendere molti anni di specialità - un anno potrebbe essere congruo, certo lo stesso non si può dire per un avvocato.
Continuo a credere nell'importanza e nel valore della pratica che non può essere sostituita da una scuola forense perché solo la professione "sul campo" - dapprima solo osservata, poi praticata - consente la trasmissione di quella cultura, di quella sensibilità e soprattutto di quei valori e di quei principi deontologici che fanno e caratterizzano l'avvocato.
b) Sull'attività stragiudiziale
Fondamentale a tal proposito chiarezza e fermezza sulle materie riservate all'avvocato.
Concordo assolutamente con quanto rilevato da Mario Napoli nel suo scritto del 10.1.2007 e credo che ben poco vi sia da aggiungere; propongo una breve riflessione quanto al diritto di famiglia. La riforma del codice di procedura civile ha finalmente affermato che la separazione personale dei coniugi - giudiziale o consensuale che sia - necessita dell'assistenza di un avvocato; mi è subito parso un indirizzo importante del legislatore, oltre che assolutamente condivisibile. Con l'introduzione dell'art. 155 sexies nel codice civile si compie un notevole passo indietro, laddove lo stesso legislatore prevede che il giudice abbia la possibilità di avviare i coniugi separandi ad un percorso di mediazione da effettuarsi da parte di "esperti" al fine di trovare un accordo. Anche un avvocato non familiarista può ben rendersi conto di quanto devastante possa essere l'attività stragiudiziale di "esperti" - psicologi, assistenti sociali, veggenti, massaie? - che addirittura potrebbe sovrapporsi e svolgersi contestualmente a quella giudiziale.
Ripeto, sulle attività esclusivamente riservate agli avvocati occorre essere fermissimi, se davvero ci poniamo come obiettivo la tutela dei diritti dei cittadini, soprattutto di quelli che sono meno dotati di strumenti culturali, economici e sociali. Se è vero, come è vero, che l'avvocato rappresenta "l'estremo baluardo dei diritti", la frontiera ultima di una giustizia che è per tutti e per tutti nello stesso modo, non pssiamo sottrarci alla riaffermazione, forte e senza tentennamenti, di questo principio.
c) Sulle tariffe
Se proprio non possiamo fare a meno di digerire l'introduzione del patto di quota lite, credo debba, almeno, essere mantenuto il tariffario. Ho sempre pensato che fosse giusto che esistessero parametri oggettivi, stabiliti dai rappresentanti eletti in Parlamento - e non dalle singole categorie - e ciò mi ha sempre tranquillizzato. La monetizzazione di una prestazione passa attraverso molteplici motivazioni, alcune delle quali strettamente personali ed ha a che fare anche con il valore che ciascuno di noi dà al denaro: pensiamo a che cosa rappresentano mille euro per chi proviene da una famiglia umile e che cosa invece per chi proviene da una famiglia facoltosa. Lasciare che tutto ciò possa incidere su una parte così delicata della nostra professione mi pare gettare le basi per il suo stesso svilimento. Tra l'altro, la liberalizzazione ha già dimostrato in altri campi in cui è già stata praticata - assicurazioni, banche - di non essere affatto efficace per raggiungere l'obiettivo di stimolare la concorrenza.
In ogni caso, non sono d'accordo con l'ancorare la parcella al risalutato, neppure se questo dovesse essere considerato quale uno, e non il solo, degli elementi che contribuiscono a determinarne l'entità. Penso che l'obbligazione dell'avvocato debba restare di mezzi e non di risultato, principio indefettibile che solo può garantire l'indipendenza e l'autonomia - di giudizio, ma anche di pensiero - dell'avvocato.
Ma quanto alle tariffe mi pongo anche un altro problema.
Come incide la possibilità del patto di quota lite in tutte quelle vicende che si chiudono prima di arrivare in giudizio? Penso ad un sinistro stradale o ad una vertenza di lavoro: l'avvocato tratta con il liquidatore il risarcimento del danno, arriva ad un accordo, l'assicurazione versa una somma al danneggiato; oggi versa anche una somma a titolo di spese legali, ma domani, in presenza del patto che l'avvocato ha stipulato con il suo cliente, perché mai dovrebbe accollarsi anche le spese legali? Ma soprattutto, potrebbe farlo da un punto di vista civilistico? Io credo proprio di no, perché non potrebbe sussistere una duplicazione di tale voce di risarcimento. Almeno in questo caso - ed altri omologhi - mi sembra che ad essere favorito, a risparmiare in termini economici, non sia affatto l'utente.
In generale credo che sia assolutamente indispensabile ancorare la tariffa a parametri oggettivi che, se non possono essere i minimi ed i massimi, almeno potrebbero essere delle percentuali con tetti non sforabili, se non in determinate circostanze e con parere del Consiglio dell'Ordine.
d) Sulla pubblicità
Sono ontologicamente contraria alla pubblicità e non per snobismo o superiorità, ma perché penso che il rapporto tra avvocato e cliente sia un rapporto non solo di fiducia, bensì empatico. Non credo neppure così efficace un rimando ai codici deontologici perché il messaggio pubblicitario per un avvocato è sfumato: in alcuni codici deontologici di altri paesi europei, non ricordo esattamente quali, si parla addirittura di "delicatezza" del professionista, ebbene, come si fa a racchiudere in un precetto che cosa travalica il limite della delicatezza? E mi domando, altri parametri, certamente più oggettivi, quali l'anzianità, il reddito dichiarato - che proponeva Nino Raffone - l'età anagrafica non finiscano per penalizzare vieppiù avvocati che, pur avendo capacità quanto meno uguali agli altri, rimangono nella mediocrità perché, come sappiamo, la differenza la fanno i clienti? Sono assolutamente certa che il figlio di un noto avvocato possa godere, dopo un mese di professione, di un reddito di molto superiore al mio che pure faccio questo mestiere da tanto tempo.
L'unico modo possibile credo sia, ancora una volta, un severo controllo da parte degli Ordini: chi più dell'Ordine è garante del decoro della professione e chi più dell'Ordine conosce i singoli iscritti? Ritengo che la pubblicità di un avvocato debba ottenere preventivamente l'autorizzazione dell'Ordine di appartenenza e che tale autorizzazione debba essere presente nella pubblicità stessa. Naturalmente bisognerà individuare alcune limitazioni sul rispetto delle quali gli Ordini avranno onere di vigilare; penso a parametri che abbiano a che fare non tanto con i singoli professionisti, quanto con la specificità della professione; dunque, più che a criteri quali il reddito, il numero dei clienti, penso alle pubblicazioni, alle collaborazioni con altri studi e colleghi, alle consulenze, all'assenza di sanzioni disciplinari.
Mi pare che affidarsi a criteri di tipo economico - il reddito o il numero di clienti, per intenderci - corra il rischio di ottenere risultati opposti alla credibilità ed al decoro degli avvocati: in altre parole, tra lo specificare il proprio reddito e pubblicizzare separazioni a cinquecento euro, il passo mi sembra veramente breve! Da un altro lato, se tali criteri possono in astratto "garantire la libertà di concorrenza dei professionisti" non mi paiono adeguati per garantire il diritto degli utenti alla facoltà di scelta e soprattutto per assicurare un adeguato livello qualitativo della prestazione professionale.
Torino 17.1.2007

Michela Quagliano
Conclusioni del gruppo di studio di Torino
Nell'incontro che si terrà in Roma in data 31/1/2007 e nelle eventuali sedi istituzionali, sarà importante, a nostro parere:
1) Sottolineare la peculiarità della professione di avvocato e dell'espletamento dell'attività di difesa del cittadino, anche costituzionalmente rilevante.
Perciò è opportuna una disciplina preventiva (rispetto alle altre professioni) e separata che tenga conto delle succitate peculiarità.
In pratica sarebbe possibile creare una corsia preferenziale per la rapida approvazione in legge del cd "progetto Calvi" di riforma dell'Ordine e della professione di avvocato. Alcune forze politiche hanno già manifestato la loro disponibilità in tal senso al CNF in occasione di recenti consultazioni sull'argomento.
Il progetto Calvi è:
a) condiviso pressoché da tutte le forze politiche poiché è stato presentato sia da esponenti della maggioranza di governo (Calvi, Finocchiaro, Brutti sono i primi tre firmatari, oltre a molti altri) che dell'opposizione (Ghedini, Alberti Casellati, Costa, Zanettin di Forza Italia e Valentino di AN)
b) si trova ad un avanzatissimo stato di elaborazione e risulta ormai pronto, anche nel dettaglio, per l'approvazione
c) rappresenta la miglior sintesi di riforma dell'avvocatura attualmente praticabile
*******
Qualora non fosse possibile l'avvio di una corsia preferenziale per l'approvazione in legge del progetto Calvi, è indispensabile evidenziare i punti di contrasto ( su questioni importanti ) tra il ddl Mastella e il progetto Calvi. Poiché non pare possibile che i presentatori del progetto Calvi non siano d'accordo sui suoi contenuti, occorrerà insistere affinché gli stessi unitamente a noi e ad altre forze politiche disponibili insistano per ottenere l'eliminazione dal ddl Mastella (in occasione del suo esame ed approvazione da parte del Parlamento) delle norme incompatibili con il progetto Calvi, essendo evidente che se venisse approvata la legge quadro nell'attuale formulazione, il progetto Calvi non potrebbe che risultarne in seguito peggiorato su questioni essenziali.
I principali punti di contrasto tra ddl Mastella e progetto Calvi sono a nostro parere i seguenti:
1) PRATICA PROFESSIONALE
Il ddl Mastella prevede un tirocinio di almeno un anno da effettuarsi presso un avvocato iscritto all'albo da almeno 4 anni; in relazione al citato anno di pratica, sei mesi possono essere effettuati presso l'università durante il corso di studi (art. 3 comma 1 a). Il progetto Calvi prevede l'effettuazione di una pratica di 30 mesi presso un avvocato iscritto all'albo da almeno 5 anni.
E' possibile che per l'apprendimento di altre professioni sia sufficiente un periodo di pratica di un anno (o di sei mesi presso l'università e sei di pratica effettiva in ambito lavorativo), tuttavia ciò non è assolutamente realistico per la nostra professione.
L'approvazione del ddl Mastella comporterebbe, sotto tal profilo, conseguenze gravissime proprio ai danni di quel cittadino-utente che si afferma di voler tutelare.
Trattasi dunque di una disposizione del ddl Mastella la cui modifica e raccordo con il progetto Calvi è di decisiva importanza.
b) ACCESSO ALL'ESAME DI STATO
Il progetto Calvi (analogamente a quanto già stabilito per il concorso in magistratura) prevede la preselezione informatica (art. 58). Nel ddl Mastella non si rinviene alcun accenno in tal senso (i vincoli di predeterminazione numerica ai quali accenna il ddl Mastella si riferiscono, a mio avviso, al diverso istituto del concorso, ma non impongono la preselezione informatica e non è detto neppure che la consentano per l'accesso all'esame di avvocato). Alcuni dei partecipanti al gruppo di studio hanno sottolineato l'opportunità di introdurre la preselezione informatica anche per consentire l'accesso alla pratica di avvocato (attualmente accede alla pratica un numero esorbitante di giovani, dei quali una parte rivelano scarsa attitudine alla professione, altri -per carenze della scuola o insufficienze personali sulle quali si potrà indagare in altra sede- dimostrano una scarsa preparazione; molti di essi vengono impiegati, anche per comodità del dominus, in attività burocratiche scarsamente qualificanti e non hanno prospettive di inserimento futuro nella professione. Restano parcheggiati per alcuni anni nella descritta situazione con compensi bassissimi o inesistenti, rinviando il momento delle effettive scelte professionali o di vita.Perciò alcuni colleghi auspicano l'introduzione della preselezione informatica anche per l'accesso alla pratica, ciò che varrebbe almeno ad escludere candidati forniti di scarsissima preparazione e a non far perdere loro inutili anni di lavoro. Seguendo tale impostazione, vi sarebbe un minor numero di praticanti sul mercato del lavoro e ciò renderebbe più probabile la corresponsione di quell'equo compenso che il ddl Mastella intende introdurre ma rischia di restare lettera morta)
In ogni caso e per restare alle possibilità concrete, almeno la preselezione informatica nei termini previsti dal progetto Calvi dovrà essere mantenuta e quindi inserita quale emendamento nel ddl Mastella in occasione della sua approvazione in legge.
d) PUBBLICITA'
Disciplinata dal ddl Mastella (art.2 comma 1 i) e dal progetto Calvi (art.9). Occorre ancorarla a parametri obiettivi. Sarebbe opportuno, secondo alcuni, introdurre l'obbligo di menzionare l'anzianità d'iscrizione all'albo e (a mio parere anche) le sanzioni disciplinari subite (più gravi dell'avvertimento) per un periodo di almeno cinque anni decorrente dalla decisione definitiva che le ha comminate. Occorrerà anche scongiurare le forme più dequalificanti (per il decoro della professione) di pubblicità, quali la indiscriminata diffusione di volantini, brochures ed altro simile materiale, gli annunci radio-televisivi ecc.
Un valido punto di riferimento è costituito dagli articoli 5 (probità, dignità e decoro), 6 (lealtà e correttezza), 9 (segretezza e riservatezza), 17 (informazioni sull'attività del professionista), 17 bis (mezzi di informazione consentiti), 18 (rapporti con la stampa), 19 (accaparramento di clientela) e 20 (uso di espressioni sconvenienti od offensive) del vigente codice deontologico dell'avvocato.
Alcuni colleghi chiedono che nel messaggio pubblicitario debba essere obbligatoriamente inserita la specializzazione professionale; secondo altri ciò sarà possibile ed opportuno soltanto in futuro, allorché la specializzazione potrà essere attestata e comprovata attraverso un idoneo percorso formativo e di aggiornamento.
I fautori della menzione obbligatoria della specializzazione propongono fin d'ora di avvalersi degli studi di settore al fine di ricavarne anche in regime transitorio l'attività in prevalenza svolta dal professionista; i detrattori di tale sistema obiettano a loro volta che lo svolgimento prevalente di attività non implica anche, in assenza di opportuni controlli, competenza professionale nelle materie in questione. Il problema, dunque, è dibattuto e non può costituire oggetto di attuali, specifiche e condivise richieste.
In ogni caso le Camere Penali, che hanno molto più a fondo esaminato il problema, ritengo che proporranno puntuali soluzioni.
e) ATTIVITA' RISERVATA - CONSULENZA STRAGIUDIZIALE
Vi è un contrasto tra il progetto Calvi (art.2 comma 5) e il ddl Mastella (art.1 comma e) poiché quest'ultimo prevede che non possano essere aumentate le riserve già previste dalla legislazione vigente, mentre il progetto Calvi riserva agli avvocati le attività di consulenza giuridica professionalmente fornite in maniera continuativa e non occasionale, fatta salva la riserva (comunque da stabilirsi con legge) a favore di altre professioni (notai e commercialisti) che potrebbero tuttavia fornire la consulenza in materia giuridica soltanto in stretta connessione con la specifica attività svolta.
Non si tratta di una rivendicazione corporativa, bensì di una richiesta di miglior tutela per il cittadino. Come l'esperienza insegna, consulenze fornite da incompetenti possono comportare gravissimi danni per l'utente.
Quindi sarà di decisiva importanza insistere affinché il ddl Mastella venga sul punto radicalmente emendato e reso compatibile con il progetto Calvi (la cui formulazione sull'argomento mi sembra buona e comunque rappresenta per l'avvocatura il miglior compromesso attualmente ipotizzabile nel contrasto di interessi tra le varie categorie).
f) TARIFFE
In sintesi nel progetto Calvi (che all'art. 12 disciplina la fattispecie in maniera assai articolata) si prevede il mantenimento di minimi e massimi tariffari, nel ddl Mastella (art. 2 comma 1 m) è contemplato il mantenimento dei soli massimi tariffari (pure aboliti dal cd. decreto Bersani). Poiché nel progetto Calvi la materia è assai meglio disciplinata, occorrerebbe introdurre le opportune integrazioni e modifiche al ddl Mastella per rendere poi compatibile (una volta approvata la legge quadro) la disciplina specifica del progetto Calvi.
Per quanto riguarda il patto di quota lite, abbiamo manifestato la nostra contrarietà all'introduzione dell'istituto. Comunque, se proprio governo e parlamento intendono mantenerlo, esso dovrà essere chiaramente e rigidamente disciplinato (vedansi in tal senso gli allegati alla mia relazione di sintesi). Una buona formulazione mi pare quella approvata dal CNF il 16 dicembre 2007 (nuovo testo dell'art. 45 del codice deontologico, integralmente riportato a pag. 4 della mia citata relazione ).
g) POLIZZA ASSICURATIVA
Il ddl Mastella prevede l'obbligo di comunicare al cliente gli estremi della polizza assicurativa obbligatoria contratta dal professionista (art. 2 comma 1 n). Il progetto Calvi prevede l'obbigo del professionista di comunicare quanto sopra soltanto se richiestone dal cliente. Si immagini la situazione di un cliente che si rechi da un avvocato soltanto per chiedere una consulenza stragiudiziale su questioni anche di non rilevante difficoltà o importanza e, ancor prima di iniziare il consulto, si senta già comunicare dall'avvocato gli estremi della polizza per la responsabilità civile del professionista in caso di danni (contestualmente si dovrebbe far sottoscrivere al cliente una dichiarazione relativa all'uso dei dati personali, una relativa alla sua conoscenza delle tariffe professionali ecc. ). E' evidente che le disposizioni del ddl Mastella debbono essere ragionevolmente ricondotte alla disciplina del progetto Calvi.
h) SOCIETA' TRA PROFESSIONISTI
La questione è assai complessa e meriterebbe una trattazione a parte. Siamo comunque contrari alla possibilità (che sembrerebbe consentita dal ddl Mastella all'art. 9 comma 1b) di partecipazione a tali società anche di soci non professionisti, con quote che, sia pur se minoritarie, possono giungere al 49% dei conferimenti.
Se la norma non verrà modificata, sarà consentito ad assicurazioni, a società di recupero crediti, a società di certificazione e di revisione (per fare un esempio) di conferire il proprio contenzioso e le proprie attività nelle società tra professionisti (i quali svolgerebbero l'attività professionale relativa) e di ricavare un corposo, legalizzato, utile (che nell'attuale normativa configura invece il pagamento di una vera e propria tangente).

a cura di Ennio Lenti