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Lettera aperta ai candidati alle elezioni dei componenti del Comitato delegati della Cassa Forense
Redazione 4 giugno 2018 14:38
I Giuristi Democratici chiedono ai candidati di chiarire le proprie posizioni su alcuni temi, considerati sensibili

LETTERA APERTA AI CANDIDATI ALLE ELEZIONI DEI COMPONENTI DEL COMITATO DELEGATI DELLA CASSA FORENSE

 

 

                      Egregio Collega,

abbiamo appreso della Sua candidatura per le elezioni dei componenti del Comitato dei Delegati della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. Nel porle i migliori auguri la invitiamo, ove possibile, a chiarirci la Sua posizione su alcuni temi che la scrivente Associazione Nazionale Giuristi Democratici considera sensibili.

Come noto, la pensione di vecchiaia retributiva si caratterizza per la entità commisurata al reddito professionale; la quota base è calcolata sulla media dei redditi professionali rivalutati, dichiarati ai fini Irpef, per tutti gli anni di iscrizione maturati ed è previsto l’obbligo di versare i contributi soggettivi minimi nella misura di circa € 2.780 annui mentre è stato, con nostro gradimento, recentemente sospeso sino al 2022 il contributo minimo integrativo.

A beneficio dei nostri associati, vorremmo porre alcuni quesiti, chiedendo anche di correggerci, ove avessimo male compreso il funzionamento del meccanismo.

 

1) La prima questione riguarda il minimo, che ogni anno è obbligatorio versare.

Questo minimo, di circa 2.700 euro, è commisurato a un reddito di circa 17.750 euro. Tradotto: per la Cassa, anche se l’avvocato ha guadagnato 10.000 euro, paga i contributi come se ne avesse guadagnati 17.750. Ciò ha un senso, in linea di massima, perché la pensione va costruita in qualche modo; tuttavia, permangono diverse perplessità.

  1. a) L’attuale modello retributivo prevede che la pensione sia una media dei redditi dichiarati. Molti Colleghi pensano, una volta versato il minimo, che l’anno contributivo valga, ai fini della media, come se avessero dichiarato 17.750 euro. Invece ai fini della media che viene considerata per la pensione finale quell’anno vale in base al dichiarato reale (nell’esempio fatto sopra, 10.000 euro). E dunque se quell’anno io dichiaro zero, pago ugualmente 2.780 euro, ma l’anno contributivo è zero (e quindi abbassa la media).
  2. b) Se non si vuole transitare nel sistema contributivo, bisognerebbe per equità abbassare ulteriormente i minimi obbligatori.
  3. c) Rimanendo nel sistema retributivo, si potrebbe considerare per i più giovani che hanno beneficiato dell’art. 21, l’incremento della quota al nono anno in misura progressiva e graduale, con pagamento del contributo minimo pieno, solo al quindicesimo anno.
  4. d) Inoltre il sistema non prevede le difficoltà reddituali che potrebbero sorgere medio tempore: ci sono avvocati in difficoltà per motivi di salute, familiari o altro. Anche in relazione a costoro andrebbero previste forme di aiuto: si potrebbe, senza alcuna alterazione di bilancio, consentire in taluni casi il dimezzamento del contributo minimo nell’anno di crisi, spalmando il debito e corrispondendo ratealmente, negli anni successivi, la mancata erogazione.

 

2) Quanto alle prestazioni assistenziali, a quanto risulta i fondi raccolti con il pagamento del 4% sulle fatture (contributo integrativo), non vengono interamente spesi.

Sotto un primo profilo si chiede se si possano estendere le prestazioni, in particolare in tema sanitario. Ad esempio, risulta che da tempo la Cassa abbia previsto un meccanismo di medicina preventiva. Tuttavia, esso non appare ancora attivo nella misura in cui oggi potrebbe essere. Offrire a tutti gli avvocati la possibilità (come avviene per molti dipendenti pubblici) di un check-up gratuito annuale, ed addirittura intervenire sulla programmazione e prenotazione di tale forma di controllo, riteniamo sarebbe molto utile (e peraltro ridurrebbe poi gli importi delle prestazioni assistenziali). Riteniamo insomma che anche la Cassa Forense debba farsi parte attiva di un passaggio dalla medicina curativa a quella preventiva.

Sotto altro aspetto, si chiede se l’eventuale perdurante surplus del fondo per l’assistenza possa essere impiegato per integrare le pensioni minime, ancora sotto i limiti di sopravvivenza. Anche esso deve infatti considerarsi un intervento assistenziale.

Quanto all’integrazione al minimo si chiede di eliminare, ai fini della corresponsione, la norma che considera i redditi del coniuge, per evidenti ragioni. La condizione reddituale è infatti individuale (in particolare nella società odierna).

Quanto alla gravidanza, viceversa, proponiamo una revisione del meccanismo, in funzione perequativa. Il criterio del reddito degli anni precedenti può infatti prestarsi ad abusi e introduce una discriminazione eccessiva in una prestazione che, in fin dei conti, è assistenziale. Si propone dunque di elevare la corresponsione minima e inserire un limite massimo, pari al sestuplo della pensione minima.

 

3) Va considerata inoltre l’annosa crisi economica, la peculiare difficoltà in cui versa l’avvocatura e la sua progressiva depauperazione: su circa 240.000 avvocati italiani, 166.000 hanno un reddito inferiore a € 17.750; tra loro, 110.000 beneficiano delle agevolazioni dell’art. 21 e 50.000 ne sono esclusi. Vorrà perciò comunicarci se è previsto nel suo programma un ridimensionamento del compenso e delle indennità degli organi della Cassa e di tutte le spese correnti.

Vorrà ancora comunicarci se nel Suo programma è prevista una soluzione perequativa per tali disfunzioni.

 

          In attesa di riscontro, porgiamo i migliori saluti.

 

                                                                    Associazione Nazionale Giuristi Democratici