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"Salviamo la Costituzione", Chimienti Editore, 2006
Redazione 12 maggio 2006 16:59
Quando una riforma della Costituzione riscrive 50 articoli sugli 81 (effettivi) che compongono la seconda parte, vuol dire che è stato sostituito l'intero ordinamento democratico vigente, che i Costituenti hanno preordinato perché fosse funzionale ai valori ed ai principi affermati nella prima parte, con un nuovo ordinamento. Tale nuovo ordinamento, in ogni caso, non è, e non potrebbe essere, coerente con la prima parte, se non altro perché realizzato sotto la spinta di orientamenti politici e culturali profondamente differenti da quelli che avevano animato i Costituenti, a cominciare dall'antifascismo.

E' uscito il volume "Salviamo la Costituzione", a cura di Domenico Gallo e Franco Ippolito.
Alla stesura del libro hanno contribuito anche Ignazio Juan Patrone, Luigi Ferrajoli e Raniero La Valle.

Il libro è stato concepito come strumento di discussione ed incitamento alla partecipazione democratica per sconfiggere il tentativo di stravolgere la nostra Carta costituzionale.

Il volume rappresenta anche un utilissimo manuale che aiuta a comprendere sino in fondo il disegno antidemocratico della riforma.

Ai comitati, alle associazioni, alle forze politiche e sindacali impegnate nella campagna referendaria, sarà applicato uno sconto particolarmente elevato, proprio per consentirne una larga diffusione. Questo può costituire anche una opportunità di autofinanziamento (soprattutto per i comitati e le associazioni) per far fronte alle piccole spese necessarie per la produzione di volantini, manifesti e quant'altro potrà risultare utile per il conseguimento della vittoria al referendum costituzionale.

Per saperne di piu', si puo' consultare il sito dell'Editore Chimienti

Indice del volume

Prefazione
(Franco Ippolito)

Introduzione
(Raniero La Valle)

Parte I - La Costituzione della Repubblica Italiana
Chi ha scritto la Costituzione italiana - La radice profonda della Costituzione - Il presupposto politico della Costituzione: l'antifascismo - I principi fondamentali - I Rapporti fra la I e la II parte: l'Ordinamento democratico
(Domenico Gallo)

Parte II - La Controriforma
Da dove nasce: i fattori della crisi della democrazia italiana - La costituzione di "Lorenzago" - Il Parlamento - Il procedimento legislativo - Le leggi a prevalenza Camera e quelle a prevalenza Senato - La modifica della forma di governo
(Domenico Gallo)
Giurisdizione e Corte Costituzionale
(Ignazio Juan Patrone)
La "devolution"
(Fabrizio Clementi)

Parte III - Processo decostituente
(Luigi Ferrajoli)


Parte IV - Testi a confronto
La Costituzione Italiana e la controriforma


Appendice
Scheda n. 1 - Le peripezie del procedimento legislativo: un'odissea nella giungla
Scheda n. 2 - I poteri del Capo del Governo Primo Ministro: due sistemi a confronto
Scheda n. 3 - Art. 117 - Riparto di competenze fra Stato e Regioni

***


INTRODUZIONE

Questo libro intende animare e motivare la battaglia popolare per la difesa della Costituzione della Repubblica.

Tappa culminante e risolutiva di questa battaglia sarà il referendum al quale sarà sottoposta la riforma costituzionale voluta dalla destra, essendo in potere dell'elettorato respingerla con il "no", non avendo essa ottenuto in Parlamento quella maggioranza qualificata che l'avrebbe messa al riparo dal ricorso al voto popolare.

Per la Costituzione del 1948 si tratta dell'ultimo appello prima della condanna definitiva. Per i cittadini si tratta dell'estrema possibilità di salvare la Repubblica costituzionale costruita in Italia come alternativa storica al fascismo.

Nell'intraprendere questa battaglia dobbiamo però avere chiaro qual è l'esatta situazione politico-istituzionale nella quale ci troviamo, e qual è il ruolo che il popolo è chiamato a svolgere. Siamo in uno stato di "Costituzione vacante" e il popolo è chiamato a svolgere un ruolo costituente.

Noi non siamo infatti più in Italia nella situazione in cui eravamo fino al 16 novembre del 2005, con una Costituzione ancora pienamente vigente e un progetto in corso per modificarla.

Oggi la Costituzione vive in regime di proroga, fino al referendum; ma almeno per quanto riguarda il Parlamento, nelle sue due Camere, essa è stata già cancellata e sostituita con un'altra, la cosiddetta Costituzione di Lorenzago, che il 16 novembre 2005 ha completato appunto il suo iter con l'ultimo voto del Senato.

Essa abroga e sostituisce l'intera seconda parte della Costituzione del 48 e, come dimostrano i testi di questo libro, ne travolge inevitabilmente anche la prima parte con i suoi principi fondamentali, i suoi diritti e i suoi valori.

Dunque noi siamo propriamente in un regime di eclisse costituzionale; la Costituzione formalmente c'è ancora, ma essa è stata ripudiata e delegittimata dalla parte oggi dominante della classe politica italiana, dai presidenti delle due Camere, dal presidente del Consiglio, dalla maggioranza parlamentare e anche dal sistema informativo che nel suo complesso ha oscurato l'operazione facilitandone il compimento; mentre nulla hanno potuto fare per difenderla gli altri poteri dello Stato, e nulla ha potuto la minoranza di centro-sinistra, al di là della sua ovvia e pur vigorosa opposizione in sede parlamentare.

Dunque allo stato delle cose la Costituzione del 48 è già stata sconfitta al livello politico-istituzionale, benché non ancora a livello popolare.

Una prova di questa sconfitta si è avuta nel fatto che all'indomani del voto definitivo di licenziamento della Costituzione da parte delle Camere, è stata promulgata una nuova legge elettorale che del dissesto costituzionale appare il massimo emblema e che potenzialmente contiene in sé, senza che sia stata predisposta alcuna rete di difesa, meccanismi che potrebbero portare alla fine della democrazia.

La nuova legge elettorale infatti, nonostante il conclamato ritorno al proporzionalismo - che avrebbe potuto essere salutato come l'inizio di un ripensamento rispetto ai guasti del bipolarismo - può risolversi nella rottura di ogni ragionevole proporzionalita tra la volontà popolare espressa dal voto e la composizione della rappresentanza che ne risulta negli emicicli parlamentari.

La Camera, secondo la nuova legge, non è più un'unica assemblea elettiva composta da 630 deputati, ma è suddivisa in due corpi collettivi, uno di 340 e l'altro di 277 deputati, eletti in base a due proporzioni diverse rispetto ai voti espressi dai cittadini; la prima delle due sottosezioni è formata dai 340 deputati assegnati per legge alla coalizione che avendo superato la soglia del 10 per cento, o al singolo partito che avendo superato la soglia del 4, abbia ottenuto sul piano nazionale anche un solo voto in più di ogni altra singola coalizione o lista; la seconda delle due sezioni è formata dai 277 deputati restanti, che vengono divisi tra tutte le altre coalizioni e liste.

Questo sarebbe il nuovo meccanismo del premio di maggioranza.

Se poi il vincitore ottenesse un successo alla bulgara, potrebbe anche superare il numero dei 340 deputati che gli sono assegnati d'ufficio, e perciò diminuirebbe anche il numero dei deputati di minoranza.

Non ci sono voti di preferenza, si è eletti secondo l'ordine di lista stabilito dai partiti, il che accentua l'impressione di due feudi giustapposti formati non da rappresentanti del popolo, ma da clienti dei rispettivi leaders baronali che dispensano le candidature.

Il significato eversivo di tale meccanismo non appare evidente oggi, perché la legge elettorale è stata approvata quando già tutto il sistema politico si preparava alle elezioni nella logica del sistema maggioritario uninominale, le coalizioni erano già formate e i leaders erano già alla testa delle rispettive alleanze.

Dunque sarà una coalizione in ogni caso consistente (presumibilmente oltre il 40 per cento) che si aggiudicherà questa volta i 340 deputati del settore A della Camera.

Ma nulla vieta di pensare che, accentuandosi la frammentazione dei partiti e la crisi delle coalizioni e sempre più deteriorandosi la cultura del bene comune, anche un singolo partito o un singolo leader possa domani puntare ad aggiudicarsi l'intera posta, sopravanzando anche di poco e pur con una percentuale modesta di voti, ciascuno degli altri concorrenti.

Se Berlusconi, invece di essere sinistrato dai risultati di cinque anni di governo, fosse stato ora nel pieno del suo fulgore di ricco onnipotente e di signore mediatico, avrebbe potuto con questa legge provare a vincere da solo, senza gli incomodi alleati, come potrebbe essere tentato di fare domani qualsiasi partito unico o forza militante che, partendo da una situazione di minoranza, fosse strenuamente determinato a prendere il potere.

Se poi si mette insieme legge elettorale e nuova Costituzione, si vede come la prima realizzi in anticipo l'ideologia antiparlamentare della seconda.

La suddivisione della Camera dei Deputati in due corpi distinti, che trova la sua origine nel momento elettorale, si prolunga infatti nella Camera disegnata dal nuovo assetto costituzionale, mediante una separazione funzionale e istituzionale dei due settori parlamentari, quello dei deputati di maggioranza e quello dei deputati di opposizione; i primi hanno "prerogative" (art. 64), gli altri hanno "diritti" (sostanzialmente limitati peraltro al diritto di tribuna); i primi decidono della fiducia o sfiducia al governo e possono designare un altro primo ministro, i secondi anche se votano a favore del governo non contano, i loro voti sono considerati contaminanti e non vengono computati perché non vengano a ledere le prerogative del governo e della maggioranza (art. 94); il rapporto tra governo e Parlamento è in realtà un rapporto di dominio esclusivo tra il primo ministro e il settore di maggioranza della Camera che è eletto con lui e dipende da lui, l'altro settore non potendo avere alcun ruolo nella ricerca di soluzioni alternative, che è la ragione per cui in questo nuovo sistema governo e Camera stanno insieme e cadono insieme, e il primo ministro sempre può sciogliere l'Assemblea (art. 88).

Quanto al Senato la nuova legge elettorale trasforma in maggioranza la più forte minoranza regionale in ogni singola regione, senza perciò che l'alterazione del risultato elettorale sia nemmeno giustificata da ragioni nazionali di governabilità, ché anzi il sistema potrebbe dar luogo a maggioranze diverse e tra loro incompatibili alla Camera e al Senato; ciò apre la strada a risultati bizzarri, assolutamente imprevedibili e politicamente ingestibili, preludendo di fatto a quella liquidazione del Senato come istituzione politica seria che la nuova Costituzione comporta.

La legge elettorale, dunque, mentre precorre la Costituzione già pubblicata ma non ancora vigente, rappresenta il colpo di grazia alla Costituzione che c'è, proprio per quell'impazzimento del principio di rappresentanza e per quella trasformazione delle elezioni politiche in roulette russa che abbiamo descritto.

Le critiche di incostituzionalità che sono state rivolte alla legge si sono concentrate su aspetti di meno evidente illegittimità costituzionale, che corrispondevano ai suoi aspetti politicamente più dannosi per l'opposizione (come una presunta insufficienza del premio di maggioranza, il caotico regime elettorale per il Senato, il cambio delle regole a partita già iniziata); ma nessuno ha denunciato il più clamoroso vizio di incostituzionalità, che consiste nel rendere possibile a una forza politica minoritaria antidemocratica di prendere il potere e di trasformarsi in regime.

Che la legge elettorale, accolta con incredulità e considerata poco più che una trovata propagandistica dal centro-sinistra al momento del suo primo annuncio, sia diventata così rapidamente legge dello Stato e regola della prossima decisiva consultazione politica, è d'altra parte la prova di come la Costituzione già oggi sia stata neutralizzata, attraverso un lungo processo di deterioramento che ha raggiunto ora il suo apice.

Questo processo di deterioramento costituzionale è andato di pari passo con l'indebolimento delle norme e degli istituti di garanzia.

Basti pensare alla facilità con cui è stato aggirato l'art. 11 della Costituzione, mediante la soluzione puramente formalistica che è stata data al problema dell'invio di una forza di occupazione italiana in Iraq al seguito delle truppe di invasione anglo-americane, in continuità con un atto di aggressione e prima ancora di una qualsiasi acquiescenza dell'ONU ai fatti compiuti.

Mentre non si è fatto alcun cenno alle garanzie procedurali che escludono la partecipazione a una guerra in mancanza della delibera e della dichiarazione dello stato di guerra (artt. 78 e 87 Cost.), la questione di sostanza è stata risolta con la dichiarazione del Consiglio Supremo di Difesa secondo cui la partecipazione italiana all'impresa sarebbe avvenuta in condizione di "non belligeranza" (salvo le ovvie smentite fornite poi dai filmati girati dai carabinieri a Nassirya).

Il deperimento della Costituzione, che si è massimamente manifestato durante tutto il corso del governo Berlusconi, ha avuto peraltro una più lontana origine nel riposizionamento del potere che si è intrapreso in Italia e in Occidente dopo la rimozione del muro di Berlino.

Basti ricordare che è stato un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che con un messaggio alle Camere il 26 giugno 1991, appellandosi a un supposto "momento magico" della storia seguito alla crisi dei regimi dell'Est, aveva globalmente rimesso in discussione la Costituzione del 1948 e dato un potente impulso al processo del suo sovvertimento.

Bisogna aggiungere peraltro che l'atteggiamento riformatore di Cossiga era meno disinvolto di quello che è stato poi di fatto adottato, anzi in quel messaggio si faceva esplicita riserva che col ricorso alle procedure dell'articolo 138 si potessero cambiare principi strutturali del nostro ordinamento costituzionale, come il bicameralismo e il governo parlamentare, e si richiedeva, per modifiche di tipo presidenzialistico, l'apertura di una vera e propria fase costituente.

Diceva il Presidente Cossiga in quel messaggio sulle riforme costituzionali, inviato alle Camere in forza del primo dei poteri attribuito al Presidente della Repubblica dall'art. 87 della Costituzione: "Dovrà attentamente valutarsi, come parte della dottrina costituzionalistica ritiene, essendo il potere di revisione costituzionale o di approvazione di nuove leggi costituzionali previsto dall'art. 138 della Costituzione, non un "potere costituente", ma un "potere costituito", se esso non trovi nel suo esercizio non solo il limite sostanziale esplicito (articolo 139 della Costituzione), ma anche altri limiti sostanziali impliciti, connessi ai principi strutturali del nostro ordinamento costituzionale, così come approvato dall'assemblea Costituente nel 1948: ad esempio il principio del bicameralismo e forse anche quello del bicameralismo così detto paritario, il limite della forma di governo parlamentare nella forma classica, come adottata dal nostro costituente; ciò che sarebbe certamente di ostacolo all'introduzione nel nostro ordinamento, con una semplice legge di revisione costituzionale, non solo di un regime presidenziale, ma anche di regimi che, inquadrando in un procedimento "automatico" per effetto del voto popolare o di diretta espressione parlamentare la nomina del Capo dell'Esecutivo, implichino la soppressione della funzione di arbitrato e garanzia che si volle propria del Presidente della Repubblica e che ne giustificò l'adozione dell'istituto: Capo dello Stato".

Nessuno tuttavia, avendone il potere, ha fatto poi valere questa riserva lungo tutto il corso della procedura volta alla liquidazione della Costituzione del '48.

La situazione nella quale il popolo è chiamato a votare nel referendum, risulta dunque di tutti questi elementi. Cadute le linee di difesa del patto costituzionale, venuti meno i pastori posti a presidio dei cittadini, il popolo rimane ora l'ultimo depositario della legittimità costituzionale e l'ultima risorsa, l'ultima istanza in grado di salvare la democrazia rappresentativa nel nostro Paese.

Esso è investito di un vero e proprio ruolo costituente.

Non dovrà semplicemente "difendere" la Costituzione del '48, che la sua rappresentanza politica già gli ha sottratto, ma dovrà instaurarla di nuovo. Non dovrà solo sottrarla all'oscuramento cui oggi è condannata, ma riscoprirla e illuminarla come mai ha fatto finora. Proprio come la luce del sole, che non è mai tanto amata ed osservata come nel momento dell'eclisse, così potrebbe avvenire per la Costituzione in questi mesi, di rifulgere e farsi conoscere come mai era avvenuto nei decenni trascorsi.
In tal modo l'atto che il popolo compirà quando nelle urne ne respingerà la liquidazione, sarà un vero e proprio esercizio di potere costituente. Sarà lui, il popolo, che riprenderà in mano gli ideali del mondo nuovo che animarono i padri costituenti del 1947, e che i figli hanno lasciato cadere.

Sarà lui che riprenderà ed eseguirà il mandato delle generazioni che attraverso l'esperienza dei fascismi e dei militarismi, da Danzica ad Hiroshima, avevano concepito l'alternativa del primato del diritto e del ripudio della guerra. Sarà lui a farsi nelle urne Assemblea costituente e a istituire di nuovo l'Italia come "una Repubblica democratica fondata sul lavoro".

Raniero La Valle