Le novitĂ introdotte della âComunicazione interpretativaâ della Commissione Europa del 11/11/2005 sullâetichettatura dei prodotti israeliani provenienti dalle colonie, non sono esattamente quelle che si potrebbero immaginare dalla lettura di tutto quanto pubblicato in questi giorni sui mezzi di informazione.
La UE non ha infatti introdotto alcuna nuova norma, ma si Ăš limitata ad indicare in che modo vanno assolti gli obblighi derivanti da norme giĂ esistenti, in ordine allâetichettatura dei prodotti israeliani che siano originari delle colonie del Golan e della Cisgiordania.
La UE ha giĂ adottato numerose disposizioni in ordine allâobbligo di indicare il luogo di origine dei prodotti (per es. per prodotti cosmetici, ortofrutticoli, pesce, carni bovine etc); esistono altresĂŹ nei singoli paesi UE analoghe regolamentazioni, (si pensi in Italia al Codice del Consumo, o alle norme penali di tutela dalle informazioni ingannevoli); trattasi di norme che pur esistendo da anni, risultano largamente inattuate, visto che nellâindifferenza generale, Israele continua a smerciare beni provenienti dagli insediamenti coloniali etichettandoli con il made in Israel.
In questo senso puĂČ ritenersi che la decisione della Commissione possa contribuire a dare un valido impulso per lâapplicazione con maggior rigore del diritto esistente.
Al di lĂ di questo effetto pratico, la Commissione si Ăš limitata a precisare il contenuto dellâinformazione che deve essere fornita al consumatore, stabilendo che questo genere di prodotti non potrebbe essere etichettato nĂ© con il made in Israel, nĂ© con il made in West Bank o in Golan: occorre infatti indicare espressamente che trattasi di beni provenienti dagli insediamenti israeliani (i Settlmemnts) nei territori palestinesi.
La Commissione pur affermando, con una certa ipocrisia, che lâobiettivo Ăš quello di garantire il rispetto del diritto internazionale, non prende in minima considerazione il problema della legalitĂ della circolazione di tali prodotti; scrive anzi a chiare lettere che âla presente comunicazione mira a salvaguardare lâapertura e la fluiditĂ degli scambi , e non deve essere utilizzata per ostacolare la fluiditĂ degli scambi commercialiâ.
In realtĂ , secondo le espresse norme codificate nel Diritto Internazionale Umanitario, il commercio da parte di Israele dei prodotti originari dei territori militarmente occupati dal 1967, costituisce a tutti gli effetti un Crimine di Guerra.
Ă infatti universalmente riconosciuto (in base alle plurime prese di posizione dellâONU e alle pronunce della Corte Internazionale di Giustizia) che ai territori palestinesi occupati sono applicabili il Regolamento dellâAia del 1907, che vieta la confisca delle proprietĂ private dei paesi occupati, e dalla IV Convenzione di Ginevra del 1947 che considera crimine di guerra grave, la distruzione e lâappropriazione di beni non giustificate da necessitĂ militari e compiute in grande proporzione facendo capo a mezzi illeciti e arbitrari.
Lo stesso Statuto della Corte Penale Internazionale, cui la Palestina ha recentemente aderito, considera crimine di guerra lâappropriazione di beni non giustificate da necessitĂ militari e compiute su larga scale illegalmente ed arbitrariamente, ritenendo responsabili di tale crimine tutti coloro che lo incentivano e lo facilitano.
La âComunicazione interpretativaâ del 11/11/15, dimostra chiaramente quanto sia ancora lontana nella ComunitĂ Internazionale la volontĂ di dare piena attuazione ai principi fondamentali del diritto umanitario, che qualifica senza incertezze quale crimine di guerra lo sfruttamento economico di un territorio militarmente occupato, da parte dello Stato occupante. Lâesportazione e la vendita di beni originari del paese occupato, non solo dovrebbe essere radicalmente vietata, ma perseguita dalla stessa Corte Penale Internazionale.
In questa prospettiva la Comunicazione sullâetichettatura dei prodotti, se Ăš indubbio che costituisca un fatto politicamente rilevante, rimarcando anche sotto il profilo degli scambi commerciali, che i territori occupati non sono sottoposti a sovranitĂ israeliana (ma su questo non avevamo dubbi), finisce di fatto per regolamentare lâesercizio di una attivitĂ criminosa (come mai accaduto in passato), e puĂČ in realtĂ fornire ad Israele un buon argomento per sostenere che, qualora i consumatori siano correttamente informati, si tratti di attivitĂ perfettamente legittima.
Avv. Dario Rossi â Associazione Giuristi Democratici