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La Corte Internazionale di Giustizia: a Gaza il “rischio genocidio” aumenta
Redazione 22 aprile 2024 15:59
Note a margine dell'ordinanza del 28 marzo scorso del copresidente G.D. Roberto Lamacchia

Con ordinanza del 28 marzo 2024 la Corte Internazionale di Giustizia ha ribadito e aggravato le misure nei confronti di Israele per quanto sta avvenendo a Gaza nei confronti della popolazione civile.

Vale la pena chiarire ancora una volta, poiché sovente si crea confusione sul punto, la differenza tra il ruolo e i compiti della Corte Internazionale di Giustizia e quelli della Corte Penale Internazionale: la prima, organo dell’ONU, oltre ad avere un potere consultivo, è chiamata a risolvere le controversie tra Stati; la seconda, invece, ha il compito di indagare su reati di natura internazionale commessi da singoli individui. Per questa ragione, poiché Israele non ha aderito alla Corte Penale Internazionale, quest’ultima non può aprire un procedimento penale contro Nethanyahu e i suoi uomini. Viceversa, l’adesione all’ONU rende sottoponibili alla giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia tutti i Paesi che fanno parte di quel consesso.

Chiarito questo punto, occorre ancora ribadire che le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia sono vincolanti per tutti i Paesi ONU (https://volerelaluna.it/commenti/2024/04/02/israele-il-cessate-il-fuoco-non-e-un-optional-e-un-obbligo/) e sono immediatamente esecutive. Ciò significa che già l’ordinanza del 26 gennaio 2024 avrebbe dovuto trovare applicazione ed esecuzione da parte di Israele: essa prevedeva, come noto, che, vertendosi in materia di “rischio di genocidio”, Israele avrebbe dovuto applicare tutte le misure atte a prevenire la commissione di quel reato, evitando, in particolare, l’uccisione di civili palestinesi, ogni attentato all’integrità fisica e psichica dei membri di quel gruppo, la sottomissione a condizioni idonee a determinarne la distruzione fisica e, infine, evitando di ostacolare le nascite all’interno di quella popolazione. Lo Stato di Israele doveva, da un lato, vegliare affinché nessuno dei suoi soldati commettesse alcuno dei fatti sopra indicati e, dall’altro, consentire la fornitura di aiuti umanitari alla popolazione palestinese, fornendo, poi, idoneo rapporto alla Corte.

Nel frattempo la Repubblica del Sudafrica ha chiesto che la Corte assumesse ulteriori provvedimenti urgenti e la Corte ha riconosciuto che gli ultimi avvenimenti a Rafah potevano rappresentare un aggravamento della situazione già drammatica e ha riservato ogni decisione ulteriore sulle richieste del Sudafrica. Israele ha, quindi, fornito alla Corte un rapporto sulle iniziative assunte in riferimento all’ordinanza del 26 gennaio 2024 e infine, il 28 marzo 2024, la Corte ha emesso una nuova ordinanza nei confronti di Israele: preso atto che la situazione a Gaza si era ulteriormente aggravata con l’uccisione, durante le operazioni militari, di 6.600 palestinesi e il ferimento di altri 11.000, il che imponeva l’assunzione di nuove misure per impedire il rischio di genocidio e di un vero e proprio incubo umanitario, la Corte ha ulteriormente appesantito le disposizioni cui Israele si dovrebbe attenere.

Questa la parte più significativa dell’ordinanza (che ho tradotto dall’originale redatto, come noto, in lingua francese e inglese):

«In conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio, e in considerazione del deterioramento delle condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi di Gaza, in particolare della diffusione della carestia e della fame, Israele deve: a) adottare tutte le misure necessarie ed efficaci per garantire senza indugio, in stretta collaborazione con le Nazioni Unite, la fornitura illimitata e generalizzata da parte di tutti gli interessati dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari, tra cui cibo, acqua, elettricità, combustibile, riparo, abbigliamento, igiene e la fornitura di cibo, acqua e combustibile, carburante, ripari, indumenti, prodotti e strutture igienico-sanitarie, nonché forniture e cure mediche, ai palestinesi in tutta la Striscia di Gaza, in particolare aumentando la capacità e il numero dei valichi terrestri e mantenendoli aperti per tutto il tempo necessario; b) garantire, con effetto immediato, che il suo esercito non commetta atti che costituiscano una violazione dei diritti dei palestinesi di Gaza in quanto gruppo protetto dalla Convenzione sul genocidio, anche impedendo in qualsiasi modo la consegna di aiuti umanitari urgentemente necessari».

La Corte ha respinto altre misure richieste dal Sudafrica che miravano a una decisione che imponesse il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e l’obbligo per tutti i partecipanti al conflitto di rispettare le decisioni della Corte internazionale di Giustizia: la reiezione di queste misure è motivata dal fatto che la Corte non può assumere provvedimenti nei confronti di “Stati terzi” o di altre entità non aderenti all’ONU, che quindi non sarebbero tenuti al rispetto delle decisioni assunte. È una decisione molto formale, perché se è vero che l’ONU non ha poteri nei confronti di Hamas o dei coloni israeliani, è altrettanto vero che, invece, ha potere su Israele: in nome di una correttezza formale onnicomprensiva, la Corte non ha ritenuto di poter esaminare istanze che non potevano essere accolte nella loro totalità. Infine, la Corte ha ribadito che la situazione catastrofica nella Striscia di Gaza richiede l’immediata ed effettiva messa in essere di tutte le misure già indicate nell’ordinanza del 26 gennaio che vengono ora riaffermate e ha reiterato il suo appello per il rilascio di tutti gli ostaggi ancora in mano ad Hamas.

Questa pesantissima e rinnovata ordinanza si è aggiunta alla delibera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 25 marzo 2024 che ha imposto il cessate il fuoco «per la durata del mese di Ramadan, che porti a un cessate il fuoco duraturo e sostenibile», così come il ritorno in libertà immediato e senza condizioni degli ostaggi e un maggiore accesso della popolazione agli aiuti umanitari.

Di tutto ciò, sino ad ora, nulla è stato attuato da Israele che, evidentemente, si considera legibus solutus sulla base di un suo diritto di difesa, in relazione all’attacco vergognoso subito ad opera di Hamas. Così, peraltro, non è: l’ONU è perfettamente a conoscenza dell’aggressione compiuta da Hamas e tuttavia ha ordinato a Israele misure atte ad evitare il “rischio” (per il momento) di genocidio. I crimini commessi da Hamas saranno, eventualmente, perseguiti come crimini di guerra dalla Corte Penale Internazionale.

Si aggiunga che il report depositato da Israele non ha evidentemente convinto la Corte, che non cita nemmeno, nella sua ordinanza, le misure che Israele sostiene di avere attuato e addirittura conclude affermando, come detto, che la situazione a Gaza si è ulteriormente aggravata rispetto a quella esistente alla data dell’ordinanza del 26 gennaio 2024, il che significa che non solo le misure ordinate dalla Corte non hanno trovato esecuzione, ma sono stati compiuti altri atti nei confronti della popolazione civile di Gaza che hanno reso ancora più drammatica la situazione.

Ora Israele ha un mese di tempo per attuare le misure che la Corte ha imposto e che «creano obbligazioni giuridiche internazionali per ogni parte cui quelle misure sono dirette» (mia traduzione). Attendiamo, con ben poche speranze, il decorso del termine dato a Israele e restiamo, poi, in attesa delle sanzioni eventualmente applicabili dalla Corte ONU in caso di mancata esecuzione delle misure imposte.

 

Roberto Lamacchia