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Riforma dei codici militari
Redazione 19 gennaio 2004 14:52
Nel disegno di legge riformatore dei codici militari di pace e di guerra, due sono le linee guida che orientano l'intero progetto: la prima è l'esigenza di ridurre l'area di controllo di legalità affidata alla giurisdizione ordinaria, incrementando la competenza della giurisdizione militare, attraverso la "militarizzazione" dei reati comuni commessi da militari; la seconda è l'esigenza di abbassare la soglia fra pace e guerra, riesumando le leggi di guerra e rendendole pienamente utilizzabili ed automaticamente instaurabili.


Scheda di lettura a cura di Domenico Gallo.

Osservazioni a cura del Procuratore Militare Dr. Paolo Scarfi.

SCHEDA DI LETTURA

Disegno di legge

DELEGA AL GOVERNO PER LA REVISIONE DELLE LEGGI PENALI MILITARI DI PACE E DI GUERRA, NONCHÉ PER L'ADEGUAMENTO DELL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO MILITARE.



1. Le linee guida.

La legge delega introduce un disegno di riforma ambizioso che mira alla quasi completa riscrittura dei codici penali militari di pace e di guerra ed introduce incisive modifiche nell'ordinamento giudiziario militare. Due sono le linee guida che orientano l'intero progetto: la prima è l'esigenza di ridurre l'area di controllo di legalità affidata alla giurisdizione ordinaria, incrementando la competenza della giurisdizione militare, attraverso la "militarizzazione" dei reati comuni commessi da militari; la seconda è l'esigenza di abbassare la soglia fra pace e guerra, riesumando le leggi di guerra e rendendole pienamente utilizzabili ed automaticamente instaurabili. All'interno di queste due esigenze si colloca l'orientamento di confermare, se non addirittura di ripristinare le norme più dure in tema di disciplina militare;



2. Riforma del codice penale militare di pace. - Aspetti principali.



2.1. Disposizioni di carattere generale (art. 3, lett. a).



La norma prevede che debbano essere riviste le disposizioni di carattere generale, con l'eliminazione di ogni deroga ai principi stabiliti dalla legge penale comune, che non sia giustificata da speciali esigenze militari. In sostanza di prevede di modificare le disposizioni del cpmp in tema di pene principali ed accessorie, esecuzione delle pene, disciplina della non menzione della condanna, prescrizione dei reati, etc.

Se l'esigenza di omogeneità fra le disposizioni generali del codice penale ordinario e di quelle militare non è contestabile, tuttavia non è chiaro quale sarà il risultato finale, soprattutto in tema di sanzioni accessorie. Nel momento in cui si "militarizzano" attraverso le altre norme della delega i reati comuni commessi da militari in servizio, è indispensabile che, in tema di pene accessorie (per es. interdizione dei pubblici uffici), venga realizzata una completa equiparazione fra i due ordinamenti, altrimenti si realizzerebbero forme di ingiustificato privilegio per i militari.



2.2.Modifiche a norme specifiche del cpmp (art. 3, lett. c,d,e,f,g,h,i,l).



Revisione modifiche e conferme di varie fattispecie di reato.

La delega prevede la revisione dei reati di omessa presentazione in servizio, abbandono di posto e violata consegna, senza prevedere i criteri in base ai quali tale revisione deve essere ispirata. In effetti, una volta che il servizio militare è stato "professionalizzato", in tempo di pace, tali vicende dovrebbero essere depenalizzate, in quanto semplici violazioni di doveri professionali.

La delega prevede di introdurre una specifica ed autonoma disciplina dei reati in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, rispetto alla disciplina comune. In questo modo si creerebbe una evidente disparità di trattamento penale fra militari e non militari, i primi verrebbero puniti per comportamenti (come il consumo di stupefacenti) che non costituiscono illecito penale per la generalità dei cittadini.

La delega prevede di introdurre come reato la fattispecie della dispersione colposa, che, se giustificata per la custodia delle armi e delle munizioni, è assurda per tutti gli altri materiali. Tanto per fare un esempio, commetterebbe un reato siffatto un Finanziere che, utilizzando la penna stilografica, macchiasse d'inchiostro la divisa.

La delega conferma la criminalizzazione di tutti i comportamenti di protesta o di dissenso, non meramente individuale. Sarebbe reato non solo l'esercizio dello sciopero, ma anche qualunque comportamento collettivo che possa turbare il servizio (per es. lo sciopero del rancio). Giungendo a ripristinare persino una fattispecie di reato (la raccolta o la partecipazione a sottoscrizioni per rimostranze o per protesta), cancellata dalla Corte Costituzionale che, con Sentenza 29 aprile/ 2 maggio 1985 n. 126 aveva dichiarato incostituzionale l'art. 180, I° comma del Cpmp (domanda, esposto o reclamo collettivo previo accordo).

Tanto per fare un esempio, si giungerebbe all'assurdo che un ricorso collettivo al TAR, contro un provvedimento dell'Amministrazione militare costituirebbe reato.



2.3 la militarizzazione dei reati comuni.



a) reati costituenti delitto contro la personalità dello Stato.

La Delega prevede la "militarizzazione" di tutti i delitti contro la personalità dello Stato se commessi da militari (art. 3, lett. b). Da questo punto di vista, la riforma non è particolarmente significativa in quanto il Cpmp già prevedeva come reati militari i più significativi reati contro la personalità dello Stato (si veda al riguardo il titolo I del libro II, art. da 77 a 85). In definitiva la riforma si limita ad estendere la militarizzazione a quei reati non contemplati dal Cpmp.

Tuttavia, anche in questa, come in tutte le altre ipotesi di "militarizzazione" dei reati comuni, vi sono due controindicazioni fondamentali.

La prima è l'inadeguatezza della giurisdizione militare (composta da soli 103 magistrati in ruolo organico) ad effettuare un effettivo controllo di legalità in ordine a gravi fatti criminosi per la vastità delle circoscrizioni territoriali, la carenza di strutture e di personale (si vedano al riguardo le osservazioni del dr. Scafi).

La seconda è costituita dalla duplicazione di giurisdizioni in caso di concorso di persone nel reato. Quando con i militari concorrono civili, lo stesso fatto criminoso dovrà essere giudicato separatamente dal Tribunale militare e da quello ordinario. Vi dovranno essere due separate istruzioni e due separati giudizi.

La delega, infatti, non ha previsto alcuna modifica dell'art. 13, II comma, del c.p.p. che prevede che: "fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare."

Quando i reati sono di pari gravità o vi è un concorso di persone (militari e civili) nello stesso reato, non scatta la connessione e quindi vi dovranno necessariamente essere due giudizi separati.

Per fare un esempio pratico, in tema di reati contro la personalità dello Stato, con riferimento ad una vicenda processuale come quella di Ustica, in tanto vi è un unico processo innanzi alla giurisdizione ordinaria, in quanto quel processo è ancora regolato dalle norme del vecchio codice di procedura penale.

Se si verificasse un nuovo caso Ustica, si dovrebbero instaurare due separati procedimenti, l'uno dinanzi all'AGO per gli eventuali reati commessi dai civili, l'altro dinanzi alla Giurisdizione militare per gli eventuali reati commessi dai militari. Tuttavia la giurisdizione militare non potrebbe mai affrontare un processo così complesso per obiettiva carenza di risorse.

Molto più estesa è la militarizzazione degli altri reati comuni previsti alle lett. m), n), o), p), q), r), s).

m) La delega prevede la "militarizzazione" di ogni violazione della legge penale costituente delitto contro la pubblica amministrazione, se commessa da militare. Si tratta dei delitti previsti dal Capo I del titolo II del Codice penale (art. da 314 a 335).

Dal momento che il Cpmp già prevede il reato di peculato e di malversazione militare, la principale novità consisterebbe nella "militarizzazione" dei reati di corruzione e concussione, se commessi da militare. Il reato di corruzione è un reato nel quale c'è un concorso necessario di persone (per esserci un corrotto è necessario un corruttore). Il corruttore, normalmente è soggetto estraneo all'amministrazione nella quale si verifica la corruzione. Quindi militarizzando la corruzione, si dovrà scindere in due il fatto criminoso e fare un procedimento contro il militare-pubblico ufficiale (corrotto) innanzi alla giurisdizione militare ed un procedimento innanzi all'AGO per il privato (corruttore).

n) La delega prevede la "militarizzazione" di ogni violazione della legge penale costituente delitto contro l'amministrazione della giustizia, se commessa da militare nel corso o in funzione di un procedimento penale militare. Si tratta dei delitti previsti dal libro II, Capo I e II del Titolo III del Codice penale (artt. da 361 a 391 c.p.).

In questo caso la militarizzazione non è stata assoluta, ma è limitata a quei delitti contro la giustizia strumentali a procedimenti di competenza dell'Autorità Giudiziaria Militare. Senonchè la dilatazione a dismisura della competenza giurisdizionale dei Tribunali militari si trascina dietro di sé anche la dilatazione della militarizzazione dei reati contro l'Amministrazione della giustizia.

o) La delega prevede la "militarizzazione" di ogni violazione della legge penale costituente delitto contro l'incolumità pubblica, ovvero costituente reato in materia di tutela della sicurezza e di prevenzione di infortuni nei luoghi di lavoro, commesso da militare in luogo militare.

Non sono ben chiari i confini della militarizzazione. A prima vista sembrerebbe che i delitti contro l'incolumità pubblica (fra i quali rientra la strage, art. 422 c.p.) siano esclusi dalla militarizzazione se commessi da militare in luogo non militare. Tuttavia rimarrebbero sempre dei margini di incertezza perché non sempre è facile capire cosa sia un luogo militare. Va poi rilevato che la militarizzazione dei reati in materia di tutela e prevenzione degli infortuni sul lavoro, comporterebbe un drastico abbassamento della tutela effettiva, trattandosi di un settore fortemente specialistico, nel quale l'Autorità giudiziaria militare non può avere quel bagaglio di competenza professionale sviluppato dall'AGO.

p) La delega prevede la "militarizzazione" di ogni violazione della legge penale costituente delitto contro la persona, se commessa da militare a danno di altro militare, a causa del servizio militare ovvero in luogo militare, ovvero in territorio estero mentre il militare ivi si trovi a causa del servizio.."

Anche qui non sono ben chiari i confini della militarizzazione. Occorrerebbe chiarire se il reato debba essere necessariamente commesso in danno di altro militare (come lascia intendere la relazione introduttiva) ovvero se sia prevista la militarizzazione di ogni reato contro la persona commesso "a causa del servizio militare", o "in luogo militare". Stante l'ambigua o imperfetta formulazione letterale è ragionevole il dubbio che con la delega si voglia introdurre la militarizzazione di ogni reato commesso "a causa del servizio militare" e/o di ogni reato commesso "in luogo militare".

In questo caso sarebbero militarizzati tutti i reati commessi durante l'esercizio di funzioni di ordine pubblico da parte dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.

Meno significative sono le ipotesi di militarizzazione di cui alle lettere q), r), s).

In definitiva questa nuova disciplina di "militarizzazione" dei reati comuni commessi dai militari comporterà un incremento della competenza dei Tribunali militari che è difficilmente quantificabile, ma che potrebbe portare anche ad una decuplicazione del volume di lavoro giudiziario, senza che nella legge delega sia previsto l'aumento di un solo posto nell'organico della magistratura militare.

Attraverso la combinazione della nuova disciplina della militarizzazione del reato con quella della connessione prevista dal nuovo cpp, si ottiene come risultato immediato un incremento dell'area della impunità, soprattutto rispetto ai fatti criminosi più gravi e quindi più difficilmente accertabili.



2.4. Revisione della procedura penale.



La delega prevede l'applicabilità nel processo penale militare delle norme del codice di procedura penale, salvo che sussista una esigenza di disciplina differenziata. Tale esigenza non è contestabile, ma il problema è la disciplina differenziata, che nella delega è indicata in modo piuttosto oscuro. La prima osservazione da fare è che non è assolutamente giustificata una normativa che consenta l'arresto in flagranza (almeno in tempo di pace) per le ipotesi più gravi di assenza dal servizio. Tali ipotesi, semmai, andrebbero depenalizzate.

Non sono chiare le disposizioni in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere e di cooperazione con la Corte penale internazionale. Appare poi inaccettabile l'introduzione, per l'esercizio delle funzioni attribuite dalla legge al Ministero della Giustizia in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, del concerto con il Ministro della Difesa.



3. Riforma del Codice penale militare di guerra - Aspetti principali.



3. 1. Questioni di carattere generale.

La delega si propone, come si è visto, di abbassare la soglia della distinzione fra stato di pace e stato di guerra, rendendo possibile, una sorta di introduzione graduale delle leggi di guerra, che aggira la procedura garantista prevista dagli artt. 78 e 87 della Costituzione. Insomma il disegno di legge introduce un menù à la carte dal quale è possibile per il Governo scegliere cosa prendere e cosa lasciare dell'armamentario delle leggi di guerra, ma soprattutto dove e quando farle entrare in vigore.

Nell'applicazione graduale delle leggi di guerra, sono previsti due stadi. Il primo stadio è quello che prevede l'introduzione, più o meno automatica delle leggi di guerra, in aree limitate o nell'intero territorio nazionale, a cui corrisponde l'instaurarsi di un non meglio determinato "tempo di guerra". Il secondo stadio è quello che consegue alla "dichiarazione dello stato di guerra". Quest'ultimo concetto probabilmente presuppone che siano attivate le procedure di cui agli art. 78 (Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari) e 87 (Il Presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere) della Costituzione, anche se nel disegno di legge non vi è un richiamo esplicito a tali procedure.

Tuttavia è evidente che l'ipotesi della "dichiarazione dello Stato di guerra", che comporta soprattutto una modifica della procedura penale, determinando la riesumazione del Tribunale Supremo militare, ed escludendo la possibilità del ricorso per Cassazione, è un'ipotesi assolutamente marginale.

L'ipotesi principale che ispira l'intero disegno di legge è quella di rendere, in un certo senso ordinario il ricorso alle leggi di guerra, svincolandolo dalla "dichiarazione dello stato di guerra", prevista dalla Costituzione in circostanze del tutto remote.



3.2. Casi di applicazione del codice penale militare di guerra.



La delega prevede di confermare l'applicazione automatica della legge penale militare di guerra ai corpi di spedizione all'estero, già introdotta dal nuovo testo dell'articolo 9 del cpmg (articolo sostituito dalla L. 31 gennaio 2002 n. 6). Tale norma che, com'è noto fu introdotta in occasione dell'intervento in Afganistan, aveva carattere transitorio, in attesa di una disciplina organica. Adesso diviene definitiva.

In linea di principio non si può contestare che alle operazioni militari all'estero, di qualunque tipo esse siano (quindi anche ad operazioni realmente di pace, come quelle di peacekeeping deliberate dall'ONU), sia applicabile la legge penale militare, poiché il dispiegamento di una forza militare armata comporta sempre il rischio dell'impiego della forza. Il problema è che la legge delega contempla qualunque tipo di missione (infatti nella relazione si parla di operazioni internazionali di pacificazione o di uso della forza). In questo si rischia di legittimare - indirettamente - il ricorso all'uso della forza, cioè della violenza militare, aggirando il ripudio costituzionale della guerra (non a caso l'art. 11 della Costituzione non viene mai nominato, né nel testo della delega, né nel testo della relazione introduttiva) e le procedure previste dagli art. 78 e 87 della Costituzione.

La delega prevede che la legge penale militare di guerra debba essere applicata in ogni caso di conflitto armato, interno od internazionale e che al riguardo debbono essere delimitati gli ambiti territoriali ed anche personali di applicazione, in caso di attacchi non generalizzati.

Il richiamo ad attacchi non generalizzati ed ad ambiti personali di applicazione, può far sorgere il sospetto che si vogliano qualificare come atti di guerra eventuali atti di terrorismo e si vogliano sottrarre le garanzie ordinarie del processo per categorie di persone, assoggettandole ai Tribunali militari anche in tempo di pace.

Per quanto riguarda i conflitti interni, la delega precisa che tali si intendono i conflitti che si svolgono con le armi all'interno del territorio dello Stato e raggiungano la soglia di una guerra civile o di una insurrezione armata. Non si considerano conflitti interni le situazioni interne di disordine o di tensione, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici ed altri atti analoghi.

La delega non dice nulla circa le procedure da seguire, le garanzie politiche e le autorità competenti per deliberare, in ordine all'entrata in vigore nell'ordinamento interno, della legge penale militare di guerra.

C'è da precisare che gli articoli 5 (applicazione della legge penale militare in caso di urgente ed assoluta necessità) e 10 (operazioni militari per motivi di ordine pubblico) del Cpmg erano stati abrogati dalla legge 18 marzo 2003 n. 42 in quanto ritenuti anticostituzionali.

Adesso con la delega in bianco prevista dal disegno di legge, il risultato è quello di far rientrare dalla finestra ciò che è stato cacciato dalla porta. Con la conseguenza di dare mano libera all'esecutivo di determinare come, quando e dove far entrare in vigore legge penale militare di guerra ed addirittura nei confronti di quali categorie di persone.



3.3. Effetti dell'applicazione del codice penale militare di guerra.



Gli effetti principali dell'entrata in vigore della legge penale militare di guerra sono due:

Il primo è l'entrata in vigore del reato militarizzato, nella sua massima estensione, già prevista dall'art. 47 del Cpmg, nella versione introdotta dalla legge 31 gennaio 2002 n. 6, che viene sostanzialmente confermata nella Delega. Ciò farà si che tutti i reati commessi dai militari, ivi compresi i Carabinieri e la Guardia di Finanza in servizio di ordine pubblico, siano di competenza della giurisdizione militare.

Il secondo è l'estensione ai non militari della giurisdizione dei Tribunali militari,

Ciò avviene attraverso una interpretazione di comodo dell'art. 103 della Costituzione (che prevede che "i tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge"), che dà all'espressione "tempo di guerra" un significato svincolato dalla dichiarazione dello stato di guerra.

A questo riguardo occorre rilevare che l'introduzione della legge di guerra comporta un drastico abbassamento delle garanzie processuali (alla luce delle deviazioni dalla procedura penale ordinaria previste dalla legge delega) e della libertà di opinione e di espressione del pensiero.

Se la delega, infatti, prevede l'abrogazione della norma di cui all'art. 75 (diffusione di particolari notizie di interesse militare) in quanto ritenuta in contrasto con la libertà di stampa, nulla dice circa i reati di cui all'art. 72 (procacciamento di notizie riservate), 73 (diffusione di notizie riservate), 74 (agevolazione colposa) e 77 (divulgazione di false notizie sull'ordine pubblico o su altre cose di interesse pubblico).

In base a tali norme, per esempio, non sarebbe possibile dare notizia dei caduti di Nassirya, se l'Autorità militare avesse deciso di non divulgare la notizia.

L'unica buona notizia è la previsione della revisione delle norme del titolo quarto del libro terzo del Cpmg (degli atti illeciti di guerra) per adeguarlo alle tipologie dei crimini di guerra previsti dall'art. 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, nonché delle altre convenzioni internazionali di diritto umanitario, a cui colpevolmente l'Italia non ha dato sinora attuazione

Occorre tenere presente, tuttavia, che la delega prevede la condizione di procedibilità della richiesta del Ministro della Difesa per i reati connessi all'esercizio di funzioni di comando, in tempo di guerra, con esclusione dei crimini di guerra (art. 4, lett. i) n. 7,

Si tratta di un privilegio assolutamente ingiustificato, che rende sostanzialmente discrezionale l'azione penale, creando un'area di impunità connessa all'esercizio di funzioni di comando che non esisteva - in forma così estesa - neppure nel codice fascista del 1941.



3.4. La procedura penale militare di guerra.

Sebbene espresso in modo chiarissimo, nella delega è stato previsto un doppio binario, a secondo che vi sia stata o meno una "dichiarazione di guerra".

Al di fuori di questa ipotesi, che appare comunque remota, è previsto che rimanga in funzione la procedura prevista dal Cpmp. Vi saranno, pertanto, dei Tribunali di primo grado, una unica Corte d'Appello e sarà possibile il ricorso in Cassazione.

Sono poi previste delle deroghe all'ordinaria procedura penale, solo parzialmente giustificate dalla particolare situazione in cui si viene a trovare l'esercizio della giurisdizione in tempo di guerra, per quel che riguarda sospensione o abbreviazione dei termini, misure cautelari ed attività della Polizia giudiziaria militare, convalida degli atti di istruzione.

In caso di dichiarazione dello stato di guerra, scatterà la competenza del Tribunale Supremo Militare. Contro le sentenze emesse dai Tribunali militari si potrà soltanto fare ricorso, in unica istanza, per motivi di legittimità o di merito, al Tribunale Supremo Militare. Non è chiaro se il TSM potrà direttamente riformare le sentenze dei Tribunali militari o soltanto annullarle con rinvio.



4. Modificazioni dell'Ordinamento giudiziario militare.



Al riguardo la Delega sostanzialmente non introduce nulla di nuovo, limitandosi a richiamare l'applicabilità delle norme in tema di ordinamento giudiziario, in quanto compatibili. In realtà qui si pone un grosso problema di compatibilità con le nuove norme di ordinamento giudiziario che stanno uscendo fuori dalla riforma in cantiere. Tali norme sono di difficile applicazione all'ordinamento giudiziario militare.

La delega prevede che vengano modificati i criteri vigenti per i giudici militari (non togati), di cui viene confermata l'estrazione a sorte.

Per quanto riguarda l'organico, la delega non prevede l'incremento neppure di un solo posto, ma soltanto la modificazione delle circoscrizioni territoriali, sebbene, come si è visto sopra, il volume di lavoro di competenza della giurisdizione militare potrebbe anche essere decuplicato.

E' prevista la conferma della unicità della Corte d'Appello, pur nella articolazione delle Sezioni di Verona e Napoli. In questo modo viene confermata una concentrazione di potere giudiziario nelle mani di una sola o di pochissime persone, che mal si attaglia ai principi costituzionali della distribuzione del potere giudiziario e del giudice naturale.

E' previsto inoltre che la difesa dinanzi agli organi giudiziari militari possa essere assunta da ufficiali che abbiano l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato. Si introduce, pertanto, una inusitata figura di difensore gerarchicamente dipendente dall'Amministrazione militare. Ciò può avere una influenza negativa sul libero dispiegarsi della dialettica processuale e sul principio della libertà di convincimento del giudice. Si pensi al caso in cui il difensore sia un superiore gerarchico dell'Ufficiale chiamato a comporre il collegio.



Roma, 3 gennaio 2004



Domenico Gallo


Osservazioni sulla riforma dei codici militari (Proc. mil. Dr. Paolo Scarfi)



OSSERVAZIONI IN TEMA DI RIFORMA

DELL 'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO MILITARE

Un intervento legislativo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra, la ridefinizione dei limiti della giurisdizione militare e l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario è senz'altro opportuno non solo per ridefinire la normativa sostanziale (eliminando fattispecie ormai anacronistiche, introducendone di nuove in considerazione delle mutate realtà operative ed internazionali, modificando la misura delle pene ed eliminando istituti ormai anacronistici quali la richiesta di procedimento) ed intervenire in materia processuale (introducendo ad es. il rito monocratico anche per i reati militari di minore gravità), ma anche per riformare radicalmente gli organi giudiziari che le nuove norme saranno chiamati ad applicare, prendendo atto che la irrazionalità attuale non è appunto limitata alla sola normativa sostanziale o processuale, ma che forse ancor di più irrazionale è la stessa esistenza di una struttura giudiziaria militare così come oggi strutturata.

Non è infatti certamente tollerabile la attuale ripartizione della giurisdizione tra la autorità giudiziaria ordinaria e la magistratura militare (in proposito si rinvia alle considerazioni del Procuratore Generale Militare presso la Corte Militare di Appello formulate in occasione della inaugurazione dell'anno giudiziario 2002), ma se ci si limitasse a modificare la normativa sostanziale, incrementando le fattispecie penali di competenza del giudice speciale, o addirittura reintroducendo (anche al di fuori del caso delle missioni all'estero) la categoria dei reati c.d. militarizzati (soppressa oltre quaranta anni fa), si giungerebbe al più ad un limitato recupero di produttività degli uffici giudiziari militari attualmente costituiti (il cui carico di lavoro, a seguito della abrogazione della leva obbligatoria, è diminuito in maniera tale da non giustificarne più in alcun modo l'esistenza), ma non verrebbero certamente risolti i più gravi problemi strutturali.

Detti problemi, come più innanzi illustrato, acquisterebbero anzi un ben maggiore e più generale rilievo ove, come previsto dal disegno di legge delega approvato lo scorso luglio dal Consiglio dei Ministri e recentemente presentato al Senato con il n. 2493, si chiamasse una struttura giudiziaria del tipo di quella esistente a giudicare in via normale reati di maggiore rilevanza ed allarme sociale: in definitiva si sacrificherebbero quelle esigenze di giustizia che qualunque intervento normativo in materia giudiziaria dovrebbe tendere a soddisfare.

Sarebbe di contro estremamente auspicabile un intervento radicale sull'ordinamento giudiziario militare, con soppressione del ruolo dei magistrati militari, attribuzione delle residue competenze in materia di reati commessi in patria ed in tempo di pace dagli appartenenti alle forze armate alla magistratura ordinaria, lasciando eventualmente un unico tribunale militare di primo e secondo grado, composto di giudici ordinari specializzati chiamati a giudicare i reati commessi in occasione delle missioni all'estero (per i quali soli sembrerebbe giustificarsi - in armonia con i principi di diritto internazionale - una specifica nozione di reato militare), ed al più prevedendo sezioni di alcuni tribunali ordinari per gli altri reati commessi da appartenenti alle forze armate per i quali ciò venisse ritenuto opportuno.

A sostegno di tale indicazione (peraltro in parte coincidente con quelle cui alcuni anni fa pervenne la apposita commissione ministeriale presieduta dal prof. Zappalà) si riportano le considerazioni che seguono, frutto di riflessione da parte di soggetti che dal di dentro conoscono la struttura giudiziaria interessata.

1. Impossibilità di una soddisfacente amministrazione della giustizia penale da parte di un ruolo così esiguo, ed in particolare estrema difficoltà di applicare regole di ordinamento giudiziario comune (le uniche accettabili per una moderna giustizia penale) in una realtà di dimensioni tanto esigue, con conseguenti tensioni anche gravi all'interno dei vari uffici.

L'ordinamento giudiziario che sarebbe chiamato ad applicare le nuove disposizioni, sia per quanto riguarda il tempo di pace che per quanto concerne le missioni all'estero, risente gravemente ed irrimediabilmente della difficoltà di amministrazione di un così esiguo ruolo di magistrati (103 a fronte degli oltre 8.000 magistrati ordinari), per i quali risulta estremamente difficile applicare le norme dell'ordinamento giudiziario comune.

A tale proposito si ricorda che il Consiglio della Magistratura Militare, con delibera del 3 dicembre 1996, sottolineava come "poiché il potere giurisdizionale si caratterizza come potere diffuso', in cui ciascun magistrato risulta essere totalmente autonomo nell'esercizio delle funzioni ... è evidente che le ristrette dimensioni degli organici determinano un inevitabile eccesso di personalizzazione delle decisioni con conseguente elevato rischio di dissidi e tensioni spesso insuperabili data la ristrettezza dei singoli ambienti di lavoro e le difficoltà di soluzioni alternative ... quali il cambiamento di sede o di funzioni da parte di taluno degli interessati" con evidenti conseguenze negative "sul sereno svolgimento della attività giudiziaria ".

A conferma di tali considerazioni l'organo di autogoverno menzionava gravi situazioni creatisi presso alcuni uffici (ben tre sedi su nove) situazioni che in un caso (a distanza di quasi sei anni) non avevano ancora trovato soluzione definitiva [e che invero, ove risolte in tempo successivo, sono state poi "degnamente" sostituite da altre altrettanto gravi createsi presso altre sedi].

Nella stessa delibera veniva poi richiamato come lo svolgimento delle attività istituzionali proprie del Consiglio risenta in modo negativo della ristrettezza strutturale della giustizia militare, in quanto per l'esiguo numero di magistrati militari "ogni provvedimento di trasferimento o di conferimento di funzioni ... (ha) effetti prevedibili, diretti o indiretti, su tutta una serie di altri magistrati militari, ivi compresi i componenti "togati" del Consiglio ... (che) permanendo in ruolo, continuano ad esercitare le funzioni e ad essere, pertanto, a loro volta potenzialmente interessati" .

Il Consiglio prendeva quindi atto "da un lato che l'ordinamento giudiziario militare ... non può che conformarsi strettamente all'ordinamento giudiziario ordinario, dall'altro che le regole 'pensate' per una realtà tanto più vasta, calate in una realtà di dimensioni tanto esigue e non sempre adattabili in via interpretativa, perdono in concreto la loro validità e comportano l'insorgere di gravi e insormontabili inconvenienti ".

In considerazione di tutto ciò lo stesso organo di autogoverno riteneva che "in sede di una riforma della giustizia militare ... non si possa prescindere dal considerare anche i gravi inconvenienti che, in via di fatto, derivano dalla strutturale inidoneità di una autonoma organizzazione giudiziaria di dimensioni troppo esigue" e quindi di "esprimere l'avviso che una riforma della giustizia militare debba necessariamente prevedere come irrinunciabile opzione la confluenza dei magistrati militari nel ruolo dei magistrati ordinari con conseguente soppressione di un separato organo di autogoverno e passaggio delle competenze ministeriali al dicastero di Grazia e Giustizia" in quanto solo in tal modo si creeranno "i presupposti perché le caratteristiche proprie del potere giudiziario non soffrano (o non siano causa) di anomalie connaturate ad un ordinamento numericamente troppo esiguo ".

E' comunque di estrema evidenza l'irrazionalità del mantenimento di un ruolo separato di magistrati così esiguo (per di più con un proprio organo di autogoverno, al quale nel corso della propria carriera ciascun magistrato militare ha buona probabilità di fare parte quale componente elettivo) nel quale l'attività disciplinare, paradisciplinare ed ogni provvedimento in materia di status, quanto meno potenzialmente, possono essere interpretati come estrinsecazioni di logiche basate su amicizia o pregressi contrasti: a titolo di esempio ci si permette di sottolineare come - in un ambiente così piccolo - ben difficilmente determinati rapporti di amicizia potrebbero anche in futuro consentire l'esercizio di poteri disciplinari che per di più, secondo recente delibera del Consiglio della Magistratura Militare, sarebbero personali del Procuratore Generale Militare di Cassazione, e come tali non delegabili, neppure in caso di astensione...

2. Estrema difficoltà a gestire i procedimenti applicando le vigenti disposizioni del c.p.p. (e tra esse quelle in materia di incompatibilità) da parte di uffici giudiziari di dimensioni così ridotte.

I nove uffici giudiziari militari di primo grado attualmente istituiti hanno un organico (teorico) di magistrati giudicanti tra quattro e sei (ove presente la sezione del riesame) e di pubblici ministeri tra tre e cinque.

Le relative tabelle organiche sono state di recente modificate, in considerazione delle incompatibilità tra le funzioni di gip e quelle di gup, introdotte nel codice di rito dal comma 2-bis dell'art. 34, incrementando il numero dei giudicanti: tale innovazione ha peraltro costretto a rivedere in diminuzione la dotazione di magistrati del pubblico ministero.

E' inutile rammentare come tali dotazioni siano del tutto teoriche, non potendosi certo ipotizzare una copertura integrale di tutti i posti, e tra essi specie di quelli requirenti, tradizionalmente non graditi particolarmente nella magistratura militare, a causa dell'esiguo numero di sedi e della conseguente frequenza dei casi nei quali le città di residenza dei magistrati sono diverse e distanti da quelle di servizio.

Accreditate indicazioni dottrinali quantificano peraltro in almeno 20-25 il numero di magistrati giudicanti addetto ad un ufficio giudiziario per un razionale funzionamento.

Il numero di giudici attualmente previsto per ogni tribunale militare, determinato al fine di assicurare che per ogni procedimento sia possibile nominare un gip, un gup e due giudici dibattimentali, è nella maggior parte dei casi assolutamente sproporzionato all'esiguo carico di lavoro del singolo tribunale, essendo appunto parametrato non al numero dei procedimenti ma alle norma sulle incompatibilità, con conseguente sottooccupazione dei magistrati interessati.

Tali organici, peraltro, non sono neppure sufficienti ad ovviare alle incompatibilità stesse, bastando un periodo di ferie del gip titolare per "bruciare" un altro magistrato (chiamato in sostituzione per un determinato atto) e, nei tribunali cui sono addetti solo quattro giudici, costringere ad una supplenza esterna o eventualmente alla rimessione del procedimento.

Il numero di magistrati militari requirenti concretamente presenti nei vari uffici è di contro, già in considerazione delle attuali esigue competenze, spesso insufficiente per garantire, oltre alla partecipazione alle udienze, una efficace direzione delle indagini, ed anche quelle attività di ricerca della notizia di reato che il codice tuttora attribuisce al pubblico ministero: gli uffici giudicanti, potenziati come innanzi descritto, rischiano quindi di vedere ulteriormente diminuito il proprio carico di lavoro, mancando quei requirenti che possano efficacemente svolgere le indagini ed istruire i procedimenti da portare a giudizio.

Lo spreco di risorse umane ed il danno alle esigenze di giustizia non richiedono alcun ulteriore commento.

3. Impossibilità, in giurisdizioni territoriali così vaste, di intervenire nei più gravi fenomeni criminosi anche in considerazione della brevità dei termini processuali

La magistratura militare, strutturata su soli nove uffici di primo grado, ha circoscrizioni territoriali vastissime, che talvolta impediscono addirittura di raggiungere in giornata determinate zone del territorio di competenza: si pensi alla provincia di Imperia o di Sondrio per il Tribunale Militare di Torino, alle località insulari più discoste dalle sedi di Cagliari o Palermo, ma anche alle altre province più lontane da tutte le altre sedi.

Solo una giurisdizione così limitata come la attuale, con una o due misure cautelari ogni anno in tutto il territorio nazionale, ed ancor di più con un numero di arresti in flagranza che, in tutta Italia, nei tredici anni passati dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale si contano sulle dita di una sola mano, ha potuto applicare una normativa processuale che prevede, specie in materia di libertà personale, termini brevissimi e rigorosi, anche di poche ore, ad esempio perché l'indagato compaia dinanzi al(l'unico) giudice per le indagini preliminari.

Anche sotto questo profilo attribuire alla Autorità Giudiziaria Militare competenze a procedere per reati di maggiore gravità comporterebbe una estrema difficoltà, per degli uffici giudiziari così distanti tra loro e dal luogo ove i fatti potrebbero essere commessi, oltre che con organici così ridotti, di intervenire tempestivamente nei casi richiesti: si pensi alla difficoltà di chiedere e celebrare l'udienza di convalida entro il termine di cui all'art. 390, co. l e 2, c.p.p..

La vastità delle giurisdizioni territoriali degli uffici del pubblico ministero rende comunque già adesso estremamente difficoltoso, per i pochi magistrati ad essi addetti, di seguire con efficacia le indagini sulle condotte criminose che si siano verificate al di fuori della sede, comportando una grave discriminazione tra i reparti militari più vicini e quelli appunto ove, causa la distanza dalla procura militare competente, il controllo giurisdizionale è già adesso estremamente ridotto (in particolar modo per quei reati che vedono coinvolti o comunque compiacenti i rispettivi comandanti, e che quindi non sono oggetto di autonoma comunicazione di notizia di reato): tale discriminazione sarebbe fortemente accentuata ove non fosse più in una certa misura limitata dalla competenza in qualche modo concorrente del giudice ordinario.

4. Irrazionalità, dopo l'abolizione del servizio di leva del mantenimento anche in tempo di pace ed al di fuori del caso di operazioni all'estero, di un separato sistema giurisdizionale chiamato a giudicare su fattispecie identiche ad altre che in ogni caso resterebbero di competenza dell'a.g.o.

Il passaggio ad un esercito su base volontaria comporterà (fenomeno in gran parte già riscontrato) la scomparsa pressoché totale dei reati di mancanza alla chiamata e di diserzione, fattispecie che, benché con disvalore sociale sempre minore, comunque rappresentavano la maggior parte della attività dei tribunali militari.

Alla giustizia militare resteranno da giudicare i reati c.d. di carattere (o comunque diversi da quelli di assenza), che fino a qualche anno fa rappresentavano parte minoritaria dei processi.

La giustizia militare è restata così (solamente) a giudicare ad esempio su condotte poste in essere da appartenenti all'Arma dei Carabinieri o alla Guardia di Finanza con modalità ed in situazioni del tutto identiche a quelle che, ove si trattasse di appartenenti alla Polizia di Stato (i quali godono di identico trattamento economico, ed hanno analoghi obblighi di servizio e progressioni di carriera) sarebbero riconducibili a fattispecie comuni di competenza del giudice ordinario (o addirittura prive di rilevanza penale).

L'ipotizzato aumento di reati attribuiti al giudice speciale non farebbe altro che aggravare la irrazionalità del sistema, in quanto non potrebbe che concretizzarsi con un incremento del numero dei reati c.d. non esclusivamente militari, ovvero delle fattispecie di reato militare assolutamente identiche a quelle previste dal codice penale comune e da esse differenziate solo per la condizione militare del soggetto attivo.

Nessuna giustificazione può infatti essere oggigiorno trovata all'attribuire ad un giudice speciale una più o meno lunga serie di reati identici a quelli comuni, commessi nelle medesime circostanze di fatto e, come prima illustrato, magari da soggetti con rapporto di servizio identici ad altri che tale "privilegio" non hanno: in sintesi, perché il peculato o la violenza privata del funzionario di polizia deve essere conosciuta dal giudice ordinario e quella dell'ufficiale dei carabinieri da quello speciale?

5. Irrazionalità ed antieconomicità di mantenere un autonomo ordinamento giudiziario con nove tribunali e nove procure di primo grado, autonomi uffici di appello e di cassazione e proprio organo di autogoverno, per esercitare la giurisdizione su un numero di appartenenti alle forze armate che a parte carabinieri e finanza, con il nuovo modello di difesa, sarà di appena 170.000 unità

Un autonomo ordine giudiziario così come oggi concepito è assolutamente sovradimensionato rispetto al numero previsto di appartenenti alle forze armate: ciascun ufficio giudiziario di primo grado, infatti è destinata ad avere un numero di "utenti" ben al di sotto di quello delle più piccole preture, non a caso soppresse.

A tale proposito si rammenta come il costo del sistema giustizia militare vada ben al di là di quello contabilizzato negli specifici capitoli di bilancio ministeriali, non essendo in essi ricompresi né il personale extratabellare (attualmente la maggioranza di quello addetto ai vari uffici) né tutta una serie di altre spese che, per come è redatto il bilancio dello Stato, non risultano imputate allo specifico servizio.



6. Danno alla celerità e speditezza di indagini e processi nel caso di soggetti civili concorrenti

La reintroduzione dei c.d. reati militarizzati non eliminerebbe le incongruenze del sistema ed anzi comporterebbe ulteriori duplicazione di indagini e di processi per il caso dei soggetti civili concorrenti, con danno alla speditezza ed alla economia dei medesimi.

Già allo stato attuale della normativa particolari difficoltà comportano quei casi in cui i tribunali militari ed i relativi uffici del pubblico ministero sono chiamati a procedere per condotte poste in essere in concorso tra loro da appartenenti alle forze armate ed estranei alle medesime; si pensi tra tutti ai casi di peculato o truffa militare consumati utilizzando fatture false emesse da imprenditori compiacenti: chi ha un minimo di esperienza in uffici di pubblico ministero militare è bene al corrente di come sia difficile già dalla fase delle indagini muoversi in casi del genere, in presenza di testi-imputati di reato connesso (ma anche di semplici testimoni estranei alle forze armate) nei cui confronti la struttura giudizi aria che conduce le indagini non ha alcuna competenza.

Le stesse difficoltà peraltro permangono nelle fasi successive del procedimento, essendo i diversi soggetti responsabili del medesimo fatto, a seconda del loro stato personale, chiamati in giudizio davanti al giudice comune o a quello militare, con intuibili conseguenze anche paradossali, potendosi finanche giungere a contrasto di giudicati (o quanto meno a determinazioni di pena clamorosamente sproporzionate tra loro).

Un intervento di riforma che introducesse un congruo numero di reati "militarizzati", riconducendo alla giurisdizione militare ad esempio il reato di corruzione o di abuso di ufficio, non farebbe che generalizzare il fenomeno, rendendo sempre più frequente il caso di duplicazione di processi per lo stesso fatto, in un contesto storico in cui la legislazione tende sempre più ed eliminare le barriere ordinamentali che impediscono al giudice penale di conoscere una sola volta e nel suo complesso ciascun fenomeno illecito.

7. Limiti costituzionali e di sistema all'attribuzione ai tribunali militari di competenza su tutti i reati commessi da appartenenti alle Forze Armate nell'espletamento del proprio servizio

Nel tentativo di dare una qualche razionalità e fondamento all'esistenza (ed alla sopravvivenza) di un autonomo ordinamento giudiziario militare si propone da parte di taluni di estendere la nozione di reato militare (e quindi la competenza del giudice speciale) a tutti reati commessi da appartenenti alle Forze Armate ed in qualche modo collegati al servizio militare: a parte tutte le (decisive) ragioni di opportunità fin qui illustrate, occorre comunque ricordare che, quanto meno per il tempo di pace, sarebbe assolutamente inopportuno (e forse anche contrario ai principi costituzionali) qualificare reati militari quelle fattispecie che vedono quali parte offesa soggetti estranei alle Forze Armate, come accadrebbe ad esempio attribuendo al giudice speciale la competenza per tutti i casi di concussione commessi da appartenenti alle Forze Armate.

Sarebbe infatti senz'altro inaccettabile costringere l'estraneo alle Forze Armate offeso dalla condotta criminosa a difendere le proprie ragioni in sede penale (eventualmente quale parte civile) dinanzi ad un giudice speciale, ed in particolare ad un collegio giudicante del quale fa parte, con voto a volte determinante, un ufficiale "collega" dell'imputato (addirittura con lo stesso grado dell'imputato, ove questi sia appunto un ufficiale).

In proposito si potrebbe anzi fondatamente dubitare che un reato commesso da militare nell'ambito del proprio servizio, ma a danno di un estraneo alle Forze Armate possa qualificarsi quale reato militare (in senso sostanziale), e quindi della compatibilità con l'art. 103 della Costituzione di attribuire un reato del genere alla giurisdizione militare di pace.



8. Scarsa funzionalità dei collegi giudicanti presso i tribunali militari

Ci si permette da ultimo di sottolineare come possa contrastare con la attuale sensibilità in materia di affidabilità ed indipendenza del giudice, specie ove si volesse attribuire ai tribunali militari competenze più rilevanti, la composizione dei collegi così come prevista dalle norme vigenti.

In particolare, presso i singoli tribunali militari, i dibattimenti vengono celebrati dinanzi ad un collegio formato dal presidente del tribunale, da un magistrato giudice a latere, generalmente più giovane di età e di ruolo, e da un ufficiale giudice estratto a sorte tra quelli in servizio nella circoscrizione del singolo ufficio giudiziario.

Quanto meno all'apparenza, potrebbe da più parti dubitarsi della effettiva collegialità delle (più delicate) deliberazioni adottate, in quanto è presumibile che, in caso di contrasto tra i due componenti togati, il voto decisivo del giudice non togato, chiamato a pronunciarsi a favore o contro la opinione del presidente (presidente del collegio, ma anche capo dell'ufficio giudiziario!), possa maturare non da convinzioni giuridiche (del quale egli è invero nella maggior parte dei casi del tutto privo), ma dalla propria mentalità militare [abituata a riconoscere forte peso alla gerarchia ed all'autorità del contraddittore].

Considerazioni del genere potrebbero far ritenere che in realtà il provvedimento giudiziario corrisponda quasi sempre all'opinione del presidente, o quanto meno risenta in maniera decisiva di questa, e sono ancor più decisive, stante anche le scarse dimensioni della struttura giudiziaria militare, nel caso dei tribunali c.d. della libertà: tutti i provvedimenti cautelari de libertate che vengano adottati in Italia sono, ex art. 5 ,co. l del D.L. 553/96, oggetto di riesame dinanzi a tre soli collegi, i quali, se si dovesse riconoscere rilievo alle osservazioni precedenti, risentirebbero del voto decisivo dei tre presidenti: tre persone chiamate quindi a indirizzare tutta la giustizia militare italiana in un punto così delicato!



Osservazioni specifiche sul disegno di legge n. 2483

Il progetto di riforma predisposto dalla apposita Commissione Ministeriale e successivamente approvato dal Governo, di contro, mostra di procedere in direzione affatto diversa da quella auspicata nelle osservazioni di cui sopra, intervenendo in maniera estremamente limitata sulle norme di ordinamento giudiziario militare, mantenendo un autonomo ruolo di magistrati militari dipendenti dal Ministero della Difesa e con un proprio organo di autogoverno, ed attribuendo invece alla competenza dei medesimi gravi fattispecie di reato fin qui di competenza del giudice ordinario, e tra essi anche reati che di militare hanno ben poco, riguardando condotte tenute all'esterno della istituzione in armi e che - se tenute da altri pubblici dipendenti in situazioni simili - sono efficacemente perseguite dal giudice ordinario.

Ci si riferisce in particolare alla "militarizzazione" di tutti i reati contro la pubblica amministrazione commessi da militari [art. 3, co. 1, lett m, n. 1 del ddl], a seguito della quale i tribunali militari, che fin qui - se si prescinde da qualche caso di peculato militare o truffa a danno dell'amministrazione militare - si sono occupati principalmente di reati di assenza o comunque di violazioni di scarso rilievo ascrivibili per lo più a militari di leva, avrebbero competenza esclusiva ad es. anche per fatti di corruzione o concussione (o anche per reati contro la fede pubblica e addirittura in materia di sicurezza del lavoro!) commessi ad es. da carabinieri o finanzieri.

E' opportuno chiedersi quale sia la finalità concreta di un intervento legislativo a seguito del quale, comportamenti concussivi commessi a danno di estranei alle forze armate, se ascrivibili ad appartenenti alla Polizia di Stato siano perseguiti da magistrati ordinari appartenenti ad uffici giudiziari ordinari capillarmente diffusi sul territorio e spesso con grande specifica esperienza mentre se commessi da carabinieri o finanzieri dovrebbero aspettare l'intervento di magistrati militari spesso territorialmente distanti, appartenenti a piccoli uffici e fino ad ora privi di una qualsiasi esperienza in materia.

Una irrazionalità (ingiustizia) del genere non può neppure ipoteticamente trovare giustificazione in pretese esigenze di ricondurre tutte determinate fattispecie criminose commesse da militari al giudice speciale e superare il fenomeno dei "doppi processi" ove si pensi, ad es., come di frequente comportamenti concussivi o corruttivi da parte di appartenenti alle forze di polizia siano connessi a lesioni a danno di privati (estranei alle forze armate) ovvero ad altri reati contro l'amministrazione della giustizia (ordinaria) non ricondotti (né riconducibili) alla competenza del giudice speciale neppure dal progetto di legge in questione!

Assolutamente preferibile sarebbe stato razionalizzare la normativa penale militare, limitando la competenza dei tribunale militari (composti da magistrati ordinari e di volta in volta opportunamente integrati con militari - giudici non togati, sulla falsariga dei tribunali dei minorenni) al tempo di guerra ed alle operazioni militari all'estero in genere ed al massimo alla vita interna della istituzione in armi (così superando anche le obiettive difficoltà di indagine connesse al coinvolgimenti di soggetti estranei) ovvero ai (più gravi) casi di lesione allo specifico servizio delle forze armate (con esclusione di quello affidato ai carabinieri ed alla guardia di finanza in materia di polizia giudiziaria e tributaria) e quindi alle (più gravi) disobbedienze e ai (più gravi) comportamenti contro la persona commessi tra militari per motivi connessi al servizio in armi.

L'articolato predisposto dal Governo presta infine il fianco ad altre gravi considerazioni critiche, che ben più autorevolmente possono essere approfondite da esperti e giuristi indipendentemente dalla conoscenza specifica dell'ordinamento giudiziario che si vorrebbe chiamare ad applicarle, e che pertanto solo succintamente e non esaurientemente vengono di seguito elencate:

1. quanto meno originale risulta il riferimento al fine (esclusivo) di assicurare "la piena funzionalità" delle Forze Armate assegnato all'intervento legislativo [art. 1 del ddl];

2. eccessivamente generici appaiono i criteri fissati per l'esercizio della delega in una materia di riserva di legge come quella del diritto penale (ancorché militare) [v. ad es.: art. 2 del ddl, ove non si precisa come debbano essere "riesaminati" "riveduti" "riordinati" i vari aspetti della normativa];

per quanto riguarda specificamente le modifiche al codice penale militare di pace

3. antistorica e contrastante con il principio di sussidiarietà richiamato nello stesso disegno di legge appare la conferma di fattispecie di danneggiamento colposo, con introduzione addirittura della punibilità del danneggiamento colposo di oggetti di equipaggiamento militare (anche cinte e camicie?) non perseguito dal legislatore del 1941 (e per scelta razionale, non per mera dimenticanza, come invece riportato nella relazione al ddl!) [art. 3, co. 1, lett h del ddl];

4. non risponde ai principi costituzionali sanzionare penalmente anche la sola partecipazione a sottoscrizioni di protesta in materia di servizio [art. 3, co. 1, lett l del ddl];

5. è ingiustificato attribuire al giudice militare i reati in materia di sicurezza e prevenzione infortuni nei luoghi di lavoro (anche per il caso che siano presenti dipendenti civili?), fin qui perseguiti da magistrati ordinari esperti nel particolare campo [art. 3, co. 1, lett o del ddl];

6. è irrazionale il mantenimento della richiesta di procedimento quale condizione di procedibilità (anche se in alternativa alla querela) anche per fatti di ingiuria tra militari di pari grado, la cui lesività non può che essere riservata alle (esclusive) valutazioni della parte offesa [art. 3, co. 1, lett u del ddl], così come ingiustificato il mantenimento - dopo l'abolizione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale - della procedibilità d'ufficio ed incondizionata dei fatti di ingiuria tra militari di grado diverso;

7. l'arresto in flagranza per i reati di assenza dal servizio, in tempo di pace e senza collegamento con missioni all'estero, non più vigente da quasi quindici anni è ancor meno giustificato nella nuova compagine di reclutamento esclusivamente su base volontaria [art. 3, co. 1, lett u del ddl];

8. prevedendo per i reati militari di minore gravità la citazione diretta davanti al giudice collegiale (e non ad un monocratico) si giungerebbe all'assurdità di far celebrare per quelli il giudizio abbreviato (ed il patteggiamento), restando di contro le analoghe competenze per i reati militari più gravi riservate al giudice (singolo) per l'udienza preliminare (chi giudicherebbe poi i concorrenti nel reato che vogliono il giudizio ordinario, quando l'organico di sette uffci giudiziari militari su nove non prevede un sufficiente numero di magistrati?) [art. 3, co. 1, lett u del ddl];

per quanto riguarda specificamente le modifiche al codice penale di guerra

9. quanto meno pericoloso, e di dubbia legittimità costituzionale, appare prevedere la applicazione della legge penale militare di guerra, indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra, anche per il caso dei "conflitti interni prolungati tra le Forze armate dello stato e gruppi armati organizzati o tra tali gruppi"[art. 4, co. 1, lett i, n. 1 del ddl], e ciò oltretutto subordinando la punibilità di tutti i reati militari connessi all'esercizio di funzioni di comando in tempo di guerra, con la sola esclusione dei crimini di guerra, alla richiesta di procedimento del Ministro della Difesa [art. 4, co. 1, lett l, n. 7 del ddl];

per quanto riguarda specificamente le modifiche all'ordinamento giudiziario militare

10. è estremamente generica l'indicazione dei principi cui dovrebbe attenersi il legislatore delegato nel modificare la normativa in materia giudici non togati [art. 5, co. 1, lett b del ddl];

11. la conferma dell'unicità della Corte Militare di Appello mantiene ed esalta la verticalizzazione della giurisdizione militare di merito, ove tutti i magistrati militari giudicanti sono soggetti alla sorveglianza di un solo presidente di corte di appello [art. 5, co. 1, lett c del ddl];

12. è ingiustificata e forse incostituzionale la previsione di una difesa affidata (anche d'ufficio?) ad ufficiali con abilitazione alla professione di avvocato, ovviamente non iscritti all'ordine e pertanto non tutelati né soggetti alla relativa disciplina [art. 5, co. 1, lett f del ddl];



E' auspicabile di contro una riforma in materia di diritto penale militare maggiormente aderente ai principi costituzionali ed ai tempi, e che altresì incida profondamente nell'ordinamento giudiziario militare, sopprimendo il ruolo separato dei magistrati militari ed attribuendo le relative competenze eventualmente a sezioni specializzate della magistratura ordinaria, così ponendo davvero fine alle irrazionalità ed alle diseconomie che l'attuale struttura comporta.

A tale proposito va sottolineato come soluzioni molto più accettabili siano contenute nelle proposte di legge tuttora pendenti in materia in entrambi i rami del parlamento (v. ad es. ddl 2807 del Senato 534 della Camera dei Deputati), che non contrastano con l'attuale formulazione dell'art. 103 della Costituzione in quanto (anche a respingere l'opinione per la quale essa costituirebbe un limite massimo per la competenza degli organi giudiziari militari in tempo di pace, ma non ne garantirebbe la sopravvivenza) tale disposizione comunque prevede l'esistenza dei tribunali militari, ma non un separato ruolo di magistrati, e sono quindi compatibili anche con l'attribuzione della relativa giurisdizione a sezioni specializzate composti da giudici ordinari.




Re: Riforma dei codici militari
Delega al Governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra e per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare. (A.C. 5433) - Dr. Domenico Gallo

Premessa

Attraverso questo disegno di riforma, vengono in luce questioni peculiari, che attengono all'adattamento dell'ordinamento giuridico italiano al tempo della guerra infinita, con tutte le ricadute negative che ciò comporta in termini di salvaguardia della pace, dei diritti e delle libertà.
Occorre premettere che la partecipazione italiana ad avventure belliche, è interdetta dall'art. 11 della Costituzione italiana, principio fondamentale dell'ordinamento, che tuttavia è tutelato essenzialmente da garanzie politiche, e procedimentali come l'esigenza che lo Stato di guerra sia deliberato dalle Camere (che conferiscono al Governo i poteri necessari - art. 78 Cost.) e sia dichiarato dal Presidente della Repubblica (art. 87 Cost.)
Tali garanzie possono essere aggirate e non costituiscono comunque un ostacolo insuperabile per una maggioranza che, non condividendo i valori della Costituzione, abbia il controllo egemonico dei mezzi di comunicazione.
Quello che rende - sinora - realmente problematica la partecipazione italiana ad operazioni belliche all'estero è la carenza di un quadro normativo adeguato.
L'arsenale normativo dei codici penali militari di pace e di guerra (entrambi approvati con Regio Decreto del 20 febbraio 1941) e dell'ordinamento giudiziario militare (approvato con Regio Decreto del 9 settembre 1941), infatti, risale ad un'altra epoca storica, contiene norme e principi palesemente inutilizzabili, e strumenti, come i Tribunali militari di guerra, che non possono essere riesumati, in quanto seppelliti per sempre dalla Costituzione, assieme ad altre barbarie del precedente regime.
Quando dopo l'89 è iniziato l'attivismo delle missioni militari italiane all'estero, è balzato subito agli occhi che lo strumento del Codice penale militare di guerra, (nel quale sino al 1994 vigeva ancora la pena di morte) non poteva essere adoperato. Ed infatti nelle varie leggi e leggine che hanno finanziato le missioni in Somalia, in Bosnia e nel Kossovo è sempre stata inserita una norma che prevedeva l'applicazione del Codice Penale Militare di Pace, in deroga all'art. 9 del Codice Penale Militare di guerra, che dispone l'applicazione automatica della legge di guerra ai corpi di spedizione all'estero. E tuttavia l'intensificarsi delle missioni e l'accentuarsi del loro carattere, almeno potenzialmente belligerante, creava dei problemi di vario genere - ivi compreso quello della protezione del personale impegnato nelle missioni e quello della perseguibilità dei crimini di guerra - che non potevano essere risolti dal codice penale militare di pace. Da qui è iniziato un processo di riforma, mirante a "restaurare" il Codice penale militare di guerra, per rendere la legge marziale pienamente utilizzabile.
Con il decreto legge 1° dicembre 2001, recante disposizioni urgenti per la partecipazione dei militari italiani all'operazione "Enduring Freedom" in Afganistan, per la prima volta è stato riesumata la legge di guerra, ma non sono stati resuscitate le disposizioni processuali, prevedendosi l'utilizzazione della giurisdizione militare per il tempo di pace, con una specifica competenza attribuita al Tribunale militare di Roma.
Nella legge di conversione del decreto legge (L. 31 gennaio 2002 n. 6) è confluita una miniriforma del codice di guerra, che ha cancellato alcune disposizioni abnormi come quella che consentiva, in circostanze particolari, l'esecuzione immediata delle spie (art. 183) o il potere del Comandante Supremo di legiferare emanando bandi militari (art. 17), ed ha soppresso la condizione di reciprocità che impediva la punibilità dei reati contro le leggi e gli usi di guerra, se commessi dai militari italiani (sostituendo l'art. 165).
In seguito, per rendere le leggi di guerra più digeribili, un'altra novella (attuata con la L. 18 marzo 2003 n. 42) ha cancellato alcune delle norme più incostituzionali, come il divieto di pubblicazione di scritti polemici (art. 80) o la denigrazione della guerra (art. 87).
Si è giunti così al disegno di riforma complessiva della materia presentato, lo scorso anno, al Senato dai ministri Martino e Castelli. La legge delega introduce un disegno di riforma ambizioso che mira ad una profonda riscrittura dei codici penali militari di pace e di guerra ed introduce incisive modifiche nell'ordinamento giudiziario militare.

Due sono le linee guida che orientano l'intero progetto: la prima è l'esigenza di mantenere in vita l'asfittica giurisdizione militare (che è stata abolita in tutti i paesi della NATO ad eccezione della Turchia); la seconda è l'esigenza di abbassare la soglia fra pace e guerra, riesumando le leggi di guerra e rendendole pienamente utilizzabili ed automaticamente instaurabili.
All'interno di queste due esigenze che si muovono entrambe nella prospettiva di decostituzionalizzare l'art. 11 della Costituzione, si colloca l'orientamento di confermare, se non addirittura di ripristinare le norme più dure in tema di disciplina militare.

Il Disegno di legge è stato approvato dal Senato con delle modifiche che hanno limato gli aspetti più inaccettabili del progetto. Non è stato modificato però l'impianto, che prevede, in sostanza, la piena applicabilità della legge marziale con il ricorso ad alcuni accorgimenti giurisdizionali, che si sostanziano - in pratica - nell'utilizzo della giurisdizione militare prevista per il tempo di pace, salvo la riesumazione del Tribunale Supremo militare di guerra, come organo di vertice della giurisdizione.
E' opportuno mettere a fuoco tre aspetti principali.

1. Decostituzionalizzazione del principio del ripudio della guerra;
2. Limitazione della libertà di informazione;
3. Aggravamento della disciplina e limitazioni dei diritti dei cittadini in uniforme.

1. Decostituzionalizzazione del principio del ripudio della guerra;

Il movimento per la pace, più volte ha posto il problema di realizzare una legge di attuazione dell'art. 11 della Costituzione per disciplinare le modalità di partecipazione dell'Italia alla tutela dell'ordine pubblico internazionale, in modo conforme ai principi (non solo ripudio della guerra) posti dall'art. 11 della Costituzione.
Al riguardo nel 1993 è stata presentata in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare, avente ad oggetto "Norme per l'attuazione del principio del ripudio della guerra sancito dall'art. 11 della Costituzione italiana e dallo Statuto dell'ONU".
Tale proposta disciplinava - fra l'altro - i possibili interventi militari dell'Italia, nel quadro delle azioni di polizia internazionale della Nazioni Unite, sottoponendoli a rigorosi presupposti procedurali e di merito in ordine ai contenuti delle missioni per assicurarne la coerenza con i principi costituzionali e con lo statuto dell'ONU.
Nel 2003 è stata presentata un'altra proposta di legge (sostenuta da Emergency) avente analogo oggetto.
Il disegno di riforma, al contrario, interviene a disciplinare la materia dei possibili interventi militari italiani realizzando l'esigenza opposta di sganciare il ricorso alla forza militare dai condizionamenti di cui ai principi costituzionali (in primis il ripudio della guerra) e all'ordinamento delle Nazioni Unite.
Le norme che riguardano l'applicazione della legge marziale (inserite tutte nell'art. 4), infatti, contemplano la partecipazione dell'Italia a conflitti armati, con l'invio di corpi all'estero, senza fare alcun riferimento al principio del ripudio della guerra ed ai principi che regolano la materia delle azioni di polizia internazionale in ambito ONU.
Per quanto riguarda le garanzie procedimentali, viene aggirata la garanzia fondamentale della deliberazione/dichiarazione dello Stato di guerra (da cui consegue il "tempo di guerra"), prevedendo che l'instaurazione della legge marziale (al di fuori del territorio nazionale) e delle "disposizioni che presuppongono il tempo di guerra", possa essere disposta, "con atto avente forza di legge" (art. 4 comma 1, lett. c).
Ciò a prescindere dall'esistenza dei presupposti di cui all'art. 11 della Costituzione o della Carta dell'ONU.
Insomma il disegno di riforma sgancia il ricorso concreto all'uso della forza militare ed all'utilizzo bellico della Forze Armate dai presupposti di cui all'art. 11 della Costituzione, prevedendo che l'Italia può entrare in situazioni di conflitto, senza se e senza ma.
Al Governo basta un decreto legge per far andare in vigore le disposizioni che presuppongono il tempo di guerra.
In questo modo viene fornito all'Esecutivo la strumentazione normativa necessaria per consentire e rendere possibile la partecipazione dell'Italia ad avventure belliche di qualsiasi genere.

2. Limitazione delle libertà di informazione.

In questo contesto, la Delega prevede che il Governo debba "confermare l'applicazione della sola legge penale militare di guerra, ancorchè nello stato di pace, ai corpi di spedizione all'estero per operazioni militari armate.." (art. 4, comma 1, lett. d).
Questo significa che quando un corpo di spedizione viene inviato, armato, all'estero, si deve sempre applicare la legge marziale ai militari impegnati nella missione.
Questa situazione comporta una drastica compressione della libertà di comunicazione e di informazione poichè non si può diffondere alcuna informazione sugli avvenimenti che non sia autorizzata dalle autorità militari, in quanto scattano le disposizioni di cui articoli 72, 73, 74 (dovrebbe essere abrogato il solo art. 75) del Codice di guerra, in virtù dei quali è vietata la divulgazione di tutte le notizie che le autorità militari (o politiche) non vogliono divulgare.
A questo punto è necessario precisare che, ove non sia stato instaurato il tempo di guerra, con legge o decreto legge, a norma dell'art. 4 comma 1, lett. c., le disposizioni del Codice penale militare di guerra non si applicano ai civili (giornalisti, volontari, personale delle ONG, etc.).
Tuttavia se i civili (per es. i giornalisti) divulgano le informazioni riservate ricevute dai militari, in violazione dei divieti di cui agli art. 72 e 73, essi sono perseguibili, in quanto concorrenti nel reato militare, che prevede la reclusione da cinque a venti anni per chi diffonde le notizie riservate.
Qualora, sia disposta con provvedimento avente forza di legge, l'instaurazione del "tempo di guerra", allora scatta la norma di cui all'art. 4, comma 1, lett. m), n. 1) prevede la: "sottoposizione alla giurisdizione penale militare anche di chiunque commetta un reato contro le leggi e gli usi della guerra o comunque un reato militare a danno dello stato o di cittadini italiani, ovvero nel territorio estero sottoposto al controllo delle forze armate italiane nell'ambito di una operazione militare armata."
In questo caso tutti, anche i civili, sono soggetti all'osservanza della legge marziale, alle relative pene ed alla giurisdizione del Tribunale militare.

3. Aggravamento della disciplina e limitazioni dei diritti dei cittadini in uniforme.

Il provvedimento aggrava irragionevolmente la disciplina per i cittadini in uniforme ne limita i diritti e peggiora le loro condizioni di vita.
In particolare costituisce una inaccettabile repressione della libertà di manifestazione del pensiero prevedere come reato "la raccolta o la partecipazione in forma pubblica a sottoscrizioni per rimostranze o proteste in cose di servizio militare o attinenti alla disciplina [art. 3, co. 1, lett l del ddl];
Tale norma, oltre che anticostituzionale è anche in contrasto con il fine di assicurare "la piena funzionalità delle Forze Armate" (art. 1, comma 1), in quanto un'istituzione che non può essere criticata, viene privata della possibilità di correggere le proprie disfunzioni.
Invece il ddl ripropone ed aggrava il vecchio modello del militare "aduso ad obbedir tacendo".
Un aggravamento della condizione militare deriva inoltre, dalla conferma di fattispecie di danneggiamento colposo, con introduzione addirittura della punibilità (di ufficio), con reclusione militare fino a due anni, del danneggiamento colposo di oggetti di armamento e munizionamento militare: si tratta di una fattispecie che non era perseguita dal legislatore del 1941, il quale aveva evidentemente rilevato come per i casi di danneggiamento di armamento individuale (senz'altro più frequenti e meno gravi rispetto a quelli riguardanti le armi di reparto) fosse sufficiente la responsabilità disciplinare e l'obbligo di risarcire il danno provocato;
il reato militare di dispersione colposa di oggetti di armamento individuale (pistola di ordinanza) diverrebbe così punibile di ufficio, mentre gli articoli 169 e 170 c.p.m.p. (dei quali non è prevista alcuna modifica) sanzionano il danneggiamento colposo di armamenti o munizioni militari non facenti parte dell'equipaggiamento individuale (anche batterie di missili, cannoni o carri armati) con una pena fino a sei mesi e solo a condizione che il comandante proponga richiesta di procedimento penale;
Di dubbia legittimità costituzionale appare poi prevedere la punibilità della dispersione colposa di munizionamento individuale nei casi "più gravi", espressione quest'ultima del tutto generica ed incerta [art. 3, co. 1, lett h del ddl];
Infine le condizioni di lavoro e di vita, sotto il profilo ambientale dei militari, potrebbero subire un deterioramento indirettamente attraverso la norma che attribuisce al giudice militare i reati in materia di sicurezza e prevenzione infortuni nei luoghi di lavoro, fin qui perseguiti da magistrati ordinari esperti nel particolare campo [art. 3, co. 1, lett o e p del ddl]. Il trasferimento delle competenze, infatti, potrebbe comportare un affievolimento delle tutela giudiziaria.