Ordinamento Giudiziario - commento al testo licenziato dalla commissione giustizia della Camera
L'articolo di Raffaele Miraglia è ripreso dalla rivista Diritto di critica (numero zero)
Ordinamento Giudiziario
Nel complessivo disegno governativo di riforma della struttura dello Stato non poteva mancare un apposito intervento sull'ordinamento giudiziario. La maggioranza politica che sostiene il governo Berlusconi ha più volte manifestato la propria volontà di procedere a riforme costituzionali o di rilevanza costituzionale senza cercare un consenso oltre le proprie fila. Questa scelta, ampiamente teorizzata, segna una rottura del patto costituzionale formale e sostanziale che ha disegnato i confini entro i quali si muovevano le forze politiche e sociali dal dopoguerra. Su un terreno così "decisivo" come la riforma del potere giudiziario, dove si gioca anche un profilo significativo della propaganda della Casa delle Libertà, non ci si poteva attendere la ricerca di una mediazione condivisa con almeno alcune delle forze dell'opposizione. E, infatti, la riscrittura dell'ordinamento giudiziario sta avvenendo in perfetta solitudine ed esaltando la volontà di rivalsa dei politici della maggioranza nei confronti della magistratura. Nonostante ciò molto dell'iniziale progetto è mutato e sono state abbandonate le velleità più estreme.
Al momento in cui vengono stese queste note il disegno di delega al governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario è quello risultante in discussione alla Camera con il numero 4636 a seguito della conclusione dei lavori della commissione giustizia.
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Il reclutamento
Uno dei momenti decisivi per stabilire chi e come eserciterà il potere giudiziario è quello della regolamentazione dell'accesso alla carica di giudice o di pubblico ministero.
La riforma sostanzialmente nulla innova sul punto. Vi è sì un adeguamento alla tendenza generale ad elevare l'età d'accesso ad una qualunque professione o lavoro, ma viene mantenuto un reclutamento che prescinde da un percorso formativo comune con le altre professioni legali. E questa è una scelta non indifferente.
Se nel Regno Unito i magistrati provengono tutti e solo dall'avvocatura, se in Germania i magistrati provengono da una formazione post-universitaria comune con chi accederà alla professione forense, al notariato, alla dirigenza della pubblica amministrazione, se in Francia la Scuola Nazionale della Magistratura, che cura anche la selezione, la formazione iniziale e il reclutamento di giudice e pubblici ministeri, prevede una formazione con forti collegamenti - anche pratici - con quella delle altre professioni legali (e simile è il percorso in Spagna), in Italia si continuerà a reclutare un magistrato dotato solo di una formazione teorica universitaria e post-universitaria, sganciata da un percorso teorico-pratico comune alle altre figure che agiscono nel mondo della legge. Tendenzialmente questa forma di reclutamento prefigura un giudice-burocrate, che è significativamente distante - anche culturalmente - dalle altre professionalità con le quali dovrà necessariamente interloquire nell'amministrazione della giustizia. Una conseguenza non secondaria è che, inevitabilmente, anche la successiva formazione professionale si manterrà su un terreno autoreferenziale.
La scelta di non modificare i percorsi pre reclutamento non è casuale. Va letta come premessa voluta al successivo schema di progressione della carriera e di gerarchizzazione interna.
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La carriera
La riforma innova profondamente la carriera interna del magistrato.
I meccanismi che regolano la permanenza e l'avanzamento in grado ed economico sono da sempre uno degli elementi più significativi per valutare come e quanto venga garantita l'indipendenza interna e esterna del magistrato.
Con la riforma, significativamente, al termine del tirocinio come uditore giudiziario colui che ha superato il concorso (ed è stato, dunque, valutato da magistrati e docenti universitari scelti dal Consiglio Superiore della Magistratura) viene assoggettato ad una valutazione di idoneità da parte dell'istituenda Scuola Superiore della Magistratura. Questa Scuola, che avrà un'importanza decisiva anche nelle successive fasi della carriera, è un organismo non controllato dal CSM. Il magistrato, dunque, sin dal primo vaglio interno non è giudicato dall'organo di autocontrollo della magistratura, nè da un organismo promanate da esso. E' questa la prima significativa frattura dell'indipendenza esterna e interna del magistrato.
La successiva progressione in carriera è anch'essa in gran parte dipendente dai giudizi della Scuola Superiore. Si introduce un controllo in parte esterno, in parte gerarchico. Il controllo esterno viene rafforzato perchè anche le valutazioni espresse dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati entrano a far parte degli elementi che formano la base del giudizio in sede di concorso per l'avanzamento nella carriera o per l'assunzione di diverso incarico. Quest'ultima previsione è foriera di pericoli evidenti, potenzialmente esplosivi quando il giudizio viene espresso sul pubblico ministero. La riserva costituzionale (art. 105) in favore del CSM in materia, anche, di assunzione e promozione dei magistrati viene "limata" con l'introduzione di soggetti esterni che condizionano a monte la decisione.
La carriera del magistrato si snoderà attraverso concorsi. Quelli più importanti per il singolo magistrato si possono svolgere o solo per titoli o per titoli ed esami. Nel secondo caso la carriera viene ad essere velocizzata e il magistrato ha maggiori possibilità di accedere alla sede vacante ambita. Fin troppo ovvie le conseguenze.
Il magistrato viene stimolato a dedicare una cospicua parte del suo tempo alla preparazione degli esami necessari al salto di carriera. L'avanzamento in termini economici e di responsabilità viene prioritariamente agganciato alla valutazione della preparazione teorica e non a quella del pregresso operato. L'assunzione di cariche dirigenti o semidirigenti viene di fatto riservato a quel magistrato che ha optato per una carriera veloce sulla base dei concorsi per titoli e esami. La mancata partecipazione ai concorsi viene "sanzionata" con l'assoggettamento a periodiche valutazioni di professionalità.
All'esigenza di introdurre processi di verifica dell'operato del magistrato e della sua attitudine a svolgere determinati incarichi si risponde in maniera distorta, introducendo un controllo esterno che mina l'indipendenza del magistrato e favorendo il carrierismo.
Il controllo è rafforzato a mezzo del costituendo "ufficio del monitoraggio dell'esito dei procedimenti", che dovrebbe verificare "situazioni inequivocabilmente rilevatrici di carenze professionali". Ovviamente tale ufficio è alle dipendenze dell'esecutivo.
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La gerarchia
Un altro elemento rilevante per verificare il grado dell'indipendenza interna è quello del peso e del valore della gerarchia.
In questo campo la riforma non introduce significative modificazioni per quanto attiene i giudici, ma crea una rigida gerarchizzazione tra i pubblici ministeri. L'ufficio requirente ruota intorno al suo dirigente, che diventa il titolare esclusivo dell'azione penale, che deve esprimere il suo assenso sulla richieste di misure cautelari e reali, che è l'unico autorizzato ad avere rapporti con gli organi di informazione, che può revocare la delega ai propri sostituti in caso di divergenza. Il potere affidato al Procuratore Capo diviene enorme. La concentrazione del potere è tale da favorire processi degenerativi gravissimi. La memoria corre a tempi non così lontani, quando il controllo da parte del potere politico o economico di alcune Procure della Repubblica determinava l'avvio o meno dei procedimenti penali, la loro scorretta evoluzione. Nei Tribunali minori, in luoghi dove i rapporti sono in genere di fatto condizionati dalla inevitabile contiguità e frequentazione, si crea una figura dal potere abnorme.
La subordinazione del sostituto procuratore è rafforzata dal controllo che il suo dirigente ha nella determinazione delle possibilità di carriera. L'eventuale provvedimento di revoca della delega viene acquisito nel fascicolo personale del magistrato, che è a base della valutazione per la progressione nella carriera o per i trasferimenti.
La scelta compiuta, che è il corollario - non necessario - della netta separazione fra p.m. e giudici, non trova giustificazione diverse da quelle del rigido controllo dell'azione penale. Impossibilitato a porre il pubblico ministero sotto il controllo dell'esecutivo, il legislatore crea le condizioni per limitarne in maniera radicale l'indipendenza.
Un rafforzamento del valore della gerarchia si segnala, peraltro, nei confronti di tutti i magistrati mediante la nuova composizione dei Consigli Giudiziari, che esprimono pareri incidenti sulla carriera. Cambiano i rapporti numerici fra componente togata elettiva e quella togata apicale, che di diritto vi partecipa, con rafforzamento del potere di quest'ultima.
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L'azione disciplinare
All'indipendenza fa da corollario la previsione di ipotesi di responsabilità in caso di trasgressione dei doveri. L'individuazione e la modulazione dei casi in cui il magistrato deve rispondere civilmente o disciplinarmente è un terreno decisivo per valutare come un sistema si sia preoccupato di evitare che l'indipendenza possa degenerare in arbitrio non sanzionabile e che, d'altro canto, il rischio di sanzioni possa condizionare l'indipendenza.
La riforma modifica l'aspetto delle sanzioni disciplinari, rimodellando gli illeciti e il procedimento disciplinare. Sono stati via via abbandonati i tentativi più estremi e pericolosi di introdurre pesantissime limitazioni al potere-dovere di interpretare la legge e al diritto del magistrato a poter esprimere le proprie opinioni. Si è andati progressivamente a definire in maniera più tassativa l'illecito, togliendo margini alle possibilità di arbitrio. In questo caso la maggioranza politica non ha potuto far finta di nulla a fronte delle critiche generalizzate che si erano levate da ogni ambito.
Rimangono alcune previsioni che per la loro genericità prestano il fianco a possibili distorsioni dello strumento disciplinare, ma nell'insieme le fattispecie individuate appaiono ora "fisiologiche".
Diverso il discorso sul procedimento. Sono innanzitutto i tempi, abnormi, che devono preoccupare. L'azione disciplinare deve essere promossa entro due anni dalla notizia del fatto e può durare quattro anni. L'essere sottoposto a procedimento ha influenza negativa nella progressione in carriera e può determinare in via cautelare il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni. Un uso distorto dell'azione disciplinare può costituire in sè un danno, ma la lunghezza dei tempi amplifica a dismisura i rischi. Non va dimenticato che il Ministro della Giustizia ha un ruolo preminente nella promozione dell'azione disciplinare e che un uso distorto di tale potere non sarebbe certo una novità.
Un'annotazione "marginale": l'introduzione del potere del P.G. di acquisire atti coperti dal segreto investigativo ai fini delle sue determinazioni in ambito disciplinare ricorda troppo il caso Previti e l'aspirazione a poter influenzare le indagini e i processi attraverso meccanismi estranei al procedimento penale.
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La separazione giudici - pubblici ministeri
Il terreno sul quale il disegno di legge sembra scontentare tutti è quello relativo alla distinzione fra p.m. e giudici.
Nel testo approvato al Senato si prevedevano concorsi separati e successivamente la possibilità, ampiamente ostacolata e scoraggiata, di cambiare le funzioni. Nell'ultimo testo il concorso diventa unico, il candidato deve indicare la propria preferenza e al terzo anno, dopo il tirocinio, è possibile il passaggio da una funzione all'altra, unica occasione per cambiare le funzioni. Il risultato è che, salva la finestra iniziale, le carriere saranno separate e sarà impossibile mutare le funzioni. La separazione è di fatto sancita inequivocabilmente, sebbene p.m. e giudici rimangano sotto il medesimo ombrello legislativo. Come si è visto, la separazione è rimarcata anche dall'introduzione di un diversissimo livello di gerarchizzazione interna alle due figure.
La soluzione prescelta è con ogni evidenza un compromesso, che serve, però, a gettare le basi per ulteriormente diversificare e autonomizzare le due carriere. La volontà di gran parte della maggioranza politica di rendere il pubblico ministero dipendente dell'esecutivo e di rimuovere l'obbligo di esercizio dell'azione penale può essere realizzata solo attraverso una riforma costituzionale e oggi altre sono le priorità.
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Alcune considerazioni conclusive
In sintesi si può dire che tre siano i punti salienti di questa riforma: introduzione di forme esterne di controllo sui magistrati, carrierizzazione del percorso professionale, separazione fra p.m. e giudici e imponente gerarchizzazione della prima figura.
A fronte di poche previsioni migliorative (soprattutto in tema di incompatibilità e di temporaneità degli incarichi direttivi) il nuovo ordinamento introduce significativi elementi peggiorativi per l'indipendenza esterna e interna della magistratura e, soprattutto, ridisegna la figura professionale del magistrato.
Progressione in carriera non vuol dire solo avanzamento economico, ma anche posti di maggior prestigio personale o sociale, sedi più ambite. Naturale la tendenza a rincorrere tali obiettivi. Per come viene disegnato il percorso del possibile avanzamento avremo un magistrato che, nel coltivare le aspettative che ingenera la possibilità di carriera, sarà più esposto a forme di dipendenza. La mutazione genetica è alle porte e le conseguenze non sembrano le più auspicabili. Ricordano troppo quanto descrisse Dante Troisi nel suo "Diario di un giudice".
Raffaele Miraglia
"La riforma dell'ordinamento giudiziario e le contrapposte astensioni"
15.11.2004
Associazione Nazionale Giuristi Democratici
Una legge che regola e definisce l'ordinamento giudiziario dovrebbe essere una legge che, in primo luogo, tende a dare piena attuazione a quei principi costituzionali che impongono - a garanzia dei cittadini - che la magistratura sia soggetta solo alla legge, autonoma e indipendente.
Sin dall'inizio l'attuale maggioranza politica ha dichiarato che non era questo l'intento che la ispirava nel riscrivere le norme sull'ordinamento giudiziario. Sin dall'inizio ha ripetutamente dichiarato che la nuova legge doveva servire a ridurre il potere della magistratura.
Ha proposto un progetto provocatoriamente eversivo dei precetti costituzionali, poi, a colpi di maxi-emendamenti governativi, ha riscritto quel disegno di legge, eliminando le parti impresentabili e mantenendo la filosofia di fondo.
La nuova legge che il Parlamento si appresta ad approvare muta geneticamente il magistrato.
La risposta alla giusta domanda di maggiore professionalità e maggiore responsabilità del giudice viene data sottoponendo il suo operato e la sua carriera a controlli decisionali da parte del potere politico e dei superiori gerarchici. Si minano così alle fondamenta l'indipendenza e l'autonomia del giudice.
Si indebolisce il diritto del cittadino ad avere un giudice terzo e imparziale e si indebolisce il diritto dei cittadini ad essere uguali di fronte alle legge.
Sono questi gli inevitabili effetti del sistema concorsuale per gli avanzamenti di carriera, dei nuovi meccanismi dell'azione disciplinare nei confronti del singolo giudice, della gerarchizzazione di tipo militare introdotta nell'ufficio del pubblico ministero (meccanismo quest'ultimo notoriamente foriero di fenomeni corruttivi e di fenomeni come i "porti delle nebbie" o "gli armadi della vergogna").
I cittadini hanno bisogno di giudici ben diversi da quelli che l'attuale maggioranza politica vorrebbe darci.
Senza la garanzia di avere un giudice autonomo e indipendente, senza la garanzia che l'obbligatorietà dell'azione penale sia perseguita e attuata e non affossata, diventa persino inutile discutere se le carriere o le funzioni del giudice e del pubblico ministero vadano separate o meno e come.
La riforma dell'ordinamento giudiziario è una legge di rilievo costituzionale, che si inscrive pienamente nel complessivo progetto dell'attuale maggioranza politica di ridisegnare gli equilibri fra i poteri dello stato e ridefinire i principi fondanti la comunità in cui viviamo. Persegue il medesimo progetto: maggiore potere al governo, maggiore disuguaglianza fra i cittadini.
Questo progetto deve essere fermato.